Tutti ricordano Karel Poborsky, centrocampista esterno ceco che in Italia indossò la maglia della Lazio. Ad osannarlo però sono soprattutto i tifosi della Juventus per quella doppietta siglata con la maglia dei biancocelesti contro i nerazzurri che permise la vittoria di uno Scudetto all’ultima giornata. L’ex calciatore che ha deciso di raccontare al The Guardian una delle storie più terribili che lo riguardano. Specifica: “La mia barba mi ha quasi ucciso. Se fossi arrivato in ospedale anche con un giorno di ritardo non avrei mai fatto questa intervista. Mi hanno messo in coma indotto. Quando mi sono svegliato mi hanno chiesto il mio nome. Avevo tutti i muscoli della faccia paralizzati. Ho trascorso tre settimane in quarantena sotto antibiotici. Non potevo mangiare ed ero sensibile alla luce tanto da tenere i miei occhi coperti. Ero terrorizzato“. Per lui si è parlato della malattia di Lyme, trasmessa da una zecca che si era attaccata alla sua barba e che poi l’aveva punto.
Karel Poborsky, “La mia barba mi ha quasi ucciso”: la sua carriera
Karel Poborsky è legato a doppia mandata a quel 5 maggio tanto amato dagli juventini quanto odiato dagli interisti. La sua carriera però non si può limitare a questo. Fu infatti tra i grandi protagonisti di quella Repubblica Ceca in grado di distruggere l’Italia di Arrigo Sacchi ad Euro ’96 e di perdere solo in finale ai tempi supplementari contro la Germania di Olivier Bierhoff. Quelle grandi prestazioni gli permisero di volare verso il Manchester United dove però in due anni collezionò appena 32 presenze. La Lazio lo pescò dal Benfica nel 2001 e in biancoceleste rimase una stagione per poi tornare in patria allo Sparta Praga e chiudere la sua carriera là dove aveva iniziato cioè alla Dynamo Budejovice. In Nazionale ha collezionato 118 presenze mettendo a segno 8 reti. Era un calciatore rapido e dotato di grandissima tecnica, abile a calciare da fuori e anche a proporsi negli spazi quando partiva più centrale.