Il telescopio nazionale Galileo ha svelato l'esistenza di un pianeta d’acqua, Kepler 10c. Dalla loro scoperta, gli esopianeti sono una frontiera aperta
Quest’anno ricorre il trentennale della scoperta del primo esopianeta (o pianeta extrasolare, e cioè al di fuori del sistema solare) attorno ad una stella simile al Sole ad opera degli astrofisici svizzeri Michel Mayor e Didier Queloz, che proprio per quella scoperta hanno vinto il Premio Nobel in Fisica nel 2019. Da quella scoperta nel 1995 è cominciata una vera e propria caccia agli esopianeti che, grazie a strumenti da terra e dallo spazio sempre più sofisticati, ci ha portati a rivelarne ad oggi quasi 6mila e a svelarne la straordinaria diversità nei loro parametri orbitali e fisici. Per spiegare tale diversità, abbiamo dovuto rivoluzionare le teorie classiche di formazione ed evoluzione dei pianeti.
Kepler-10 è un sistema esoplanetario ben noto agli esperti del campo. Venne scoperto quasi una quindicina di anni fa con osservazioni fotometriche del telescopio spaziale della NASA Kepler, rivelando le diminuzioni periodiche della luce della stella causate dal passaggio (transito) di due pianeti del sistema davanti ad essa: la super-Terra rocciosa Kepler-10b con raggio di 1,5 raggi terrestri e periodo orbitale di 20 ore (il suo “anno” dura cioè meno del giorno terrestre), e il sub-Nettuno Kepler-10c con raggio di 2,3 raggi terrestri e periodo orbitale di 45 giorni.
Per determinare la massa e la densità di entrambi i pianeti, noi ricercatori dell’Istituto nazionale di astrofisica (INAF), in collaborazione con colleghi che lavorano in Svizzera, nel Regno Unito e negli Stati Uniti, abbiamo acquisito misure spettroscopiche per più di otto anni con lo spettrografo High Accuracy Radial velocity Planet Searcher for the Northern hemisphere (Harps-N). È uno degli spettrografi più efficienti al mondo per trovare e studiare gli esopianeti, ed è collocato al telescopio italiano Galileo presso l’Observatorio del Roque de los Muchachos sull’isola delle Canarie La Palma.
Sfruttando l’effetto Doppler, abbiamo potuto rivelare con queste misure il piccolo moto periodico della stella indotto dai pianeti per la forza di gravità, e da esso abbiamo dedotto le masse dei pianeti con precisione e accuratezza senza precedenti. Abbiamo così confermato la composizione rocciosa del pianeta Kepler-10b e mostrato che il pianeta Kepler-10c è molto probabilmente un cosiddetto water world, ovvero un pianeta con gran parte della sua massa (dal 40 al 70%) in acqua.
Pensiamo cioè che abbia un interno roccioso, un mantello di ghiaccio di acqua ad alta pressione (ghiaccio di acqua VII), e un’atmosfera densa e spessa di vapore acqueo; tra il mantello di ghiaccio e l’atmosfera, l’acqua potrebbe trovarsi allo stato liquido (potrebbe, cioè, esserci un oceano) oppure allo stato di fluido super-critico con proprietà intermedie tra il gas e il liquido, senza un vero e proprio confine tra lo stato liquido e quello gassoso. La temperatura elevata di questo pianeta di circa 300 gradi centigradi è quasi certamente proibitiva per la presenza di vita.
Abbiamo infine rideterminato in modo accurato le proprietà di un terzo pianeta nel sistema con periodo orbitale di 151 giorni, Kepler-10d, la cui presenza era stata precedentemente ipotizzata per una piccola anomalia che esso induce sull’orbita del pianeta c. Trattandosi purtuttavia di un pianeta non visto in transito, non possiamo determinare la sua dimensione e dunque la sua composizione.
L’esistenza dei water world è stata prevista teoricamente dai modelli di formazione e migrazione planetarie. Kepler-10c e una quindicina di pianeti con proprietà simili sembrano avere proprio la composizione predetta dai suddetti modelli, anche se ci aspettiamo un’ulteriore conferma delle proprietà dei water world dallo studio delle loro atmosfere con il telescopio spaziale James Webb.
Rivelare e studiare questi mondi di acqua è molto importante, perché pensiamo che essi si siano formati lontano dalle loro stelle, oltre due-tre volte la distanza Terra-Sole, per aver accumulato molto ghiaccio, e si siano successivamente avvicinati ad esse. Da un lato, è probabile che, in questo loro moto di migrazione verso la stella, essi possano ostacolare la formazione di pianeti terrestri che potrebbero ospitare la vita. Dall’altro, su questi stessi pianeti di acqua con temperature più basse di Kepler-10c, nella cosiddetta fascia di abitabilità, potrebbero forse esserci forme di vita elementare, anche se al momento si tratta di pura speculazione.
La comprensione della formazione e migrazione dei pianeti, e delle condizioni fondamentali per la nascita ed evoluzione della vita, rappresenta la principale motivazione dello studio dei pianeti extrasolari, uno dei campi più affascinanti dell’astrofisica moderna in cui nuove scoperte, piuttosto che fornire risposte, spesso aprono nuove domande.
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