L’anniversario dell’uscita di Frankenstein Junior di Mel Brooks è l’occasione per celebrare la parodia comica più intelligente e riuscita della storia del cinema. Il film veniva infatti presentato negli Usa il 15 dicembre del 1974, e meritatamente diventava il campione d’incassi della stagione 1975 in tutto il mondo. Frankenstein Junior è anzitutto una parodia del genere horror cinematografico classico, con tutti i suoi elementi topici virati in senso comico, ma anche e forse soprattutto una sagace rivisitazione in chiave mista, a tratti di commedia degli equivoci e a tratti di comico delle gag visive, dei vari testi – filmici come letterari – che ne costituiscono il soggetto.
Il tutto parte da un’idea di Gene Wilder, subito sposata da Mel Brooks e sceneggiata con la sua collaborazione: rifare la storia del romanzo “Frankenstein” di Mary Shelley (1818) in forma di film comico, guardando soprattutto al celebre omonimo film di James Whale del 1931, con Boris Karloff nei panni della Creatura (la cui maschera, copyright della Universal, è tutt’oggi fonte di grossi profitti). Quel film, come altri cui quello di Brooks fa il verso – La Moglie di Frankenstein (J. Whale, 1935) e Il Figlio di Frankenstein (R.V. Lee, 1939) – era certamente spaventevole agli occhi degli spettatori di allora, ma non esattamente a quelli di spettatori più recenti e acculturati. Infatti, a sguardi post rivoluzione moderna del cinema, esso pare già una sorta di parodia così com’è, con tanti attacchi già bell’e pronti per altrettante gag comiche.
Specialmente le sequenze iniziali del classico di Whale, quella del cimitero e quella del furto del cervello sbagliato, sono colme di quei luoghi comuni dell’horror classico facilmente – a posteriori – invertibili di segno, tramutabili con poco sforzo in momenti comici. Non è un caso che il film di Brooks riproduca sapientemente lo stile del cinema anni Trenta, con una bella fotografia in bianco e nero di taglio “vintage” e addirittura con gli stacchi “a tendina” tra una sequenza e l’altra, come si usava allora. Tutti elementi di linguaggio utilizzati per parafrasare sottilmente il genere horror delle origini, ancor prima che un film o una storia in particolare.
Sul piano narrativo invece il film mostra forse il suo aspetto migliore, perfino sorprendente. Brooks e Wilder arrivano infatti a fare una riscrittura del testo della Shelley in chiave di commedia degli equivoci, riuscendo nel mirabile intento di raccontare una vicenda universalmente nota in modo parzialmente nuovo, parodiando parallelamente due generi cinematografici in una botta sola (horror classico e sophisticated comedy alla Lubitsch o alla Frank Capra). La seconda parte del film, dal rapimento della fidanzata del prof. Frankenstein da parte della Creatura fino al finale lieto, ricalca infatti i tempi e i modi della commedia degli equivoci, facendone una parafrasi di comicità quasi pura partendo dai luoghi comuni del brivido. Il finale con lo scambio di cervelli, che dota la Creatura di intelletto e il prof. Frederick dello schwanzstuck – per la gioia delle rispettive nuove consorti – è insieme spassosissimo e istruttivo di tale sapiente commistione a rovescio di generi, e alchimia delle storie, messa in gioco dagli autori.
Indimenticabili poi i divertenti giochi linguistici, per lo più mantenuti anche in italiano da un buon doppiaggio (una volta tanto); la gobba del servo Igor (un fantastico Marty Feldman) che si sposta da destra a sinistra a ogni diversa scena; il terrore che la domestica frau Blucher trasmette alle bestie del castello al pronunciare del suo solo nome, che in linea col finale quasi goliardico ci fa immaginare chissà quali cose abbia mai fatto ai cavalli. Tutti elementi che contribuiscono alla grande fama del film, diventato quasi subito, giustamente, un autentico cult movie, con tanto di fan club planetario.
Infine, da notare che altre parodie dei generi girate dallo stesso Mel Brooks sull’onda del successo di Frankenstein Junior, come quella del thriller hitchcockiano (Alta Tensione, 1977), o della fantascienza (Balle Spaziali, 1987), non hanno dato gli stessi risultati di gradimento del pubblico e di assenso della critica. Segno tangibile che è il genere horror, primariamente quello classico, ad avere già connaturata l’opzione a sé opposta, cioè quella del comico e del grottesco. Conferma ne è anche l’altro film di grande successo di Mel Brooks, Mezzogiorno e Mezzo di Fuoco (1974, uscito in Usa appena prima del Junior), il quale è si una parodia dei topoi del western, ma soprattutto è un’abile lavoro di smascheramento dei meccanismi della finzione narrativa del cinema. Ma in tema di opposti, di ribaltamento degli elementi caratteristici di un dato genere, quindi di viraggio dal pauroso al ridicolo, nessuno è all’altezza di batte la raffigurazione filmica, spaventosa e comica al tempo stesso, dei luoghi e dei mostri dell’orrore.
Come declama il volto sinistramente illuminato del nostro professor Frederick Frankenstein, discendente di ramo cadetto del Barone Victor e del fu Cinema dell’Orrore … “it – could – work!!!”.