L’accordo per la fine della guerra a Gaza parte da lontano, dal primo mandato di Trump. Il presidente Usa non pensa solo agli affari, ha una strategia

Il piano di Trump viene da lontano. Perché la stabilizzazione del Medio Oriente è stato uno dei primi obiettivi della sua amministrazione già nel primo mandato, quando ha cercato di pacificare i rapporti tra Israele e i Paesi mediorientali attraverso gli Accordi di Abramo.

L’intesa che ha portato alla fine della guerra a Gaza, firmata tra le parti in Egitto, si colloca nel solco di una normalizzazione, spiega Rita Lofano, direttore responsabile di AGI, che porterà benefici dal punto di vista degli affari, ma che è prima di tutto la realizzazione di una strategia geopolitica nella quale ha giocato un ruolo importante il genero del presidente, Jared Kushner.



L’intesa fra Hamas e Israele, quindi, è un successo personale del presidente americano, ma è anche l’affermazione del ruolo centrale degli USA: senza una loro iniziativa la situazione nella Striscia non si sarebbe sbloccata.

L’accordo per la fine della guerra a Gaza è un successo personale di Trump. Perché ha spinto così tanto per arrivare a questo risultato?



È un successo suo, ma è anche un grande successo dell’America. Trump vorrà anche il Nobel per la pace, ma di certo questa intesa è frutto di una politica di stabilizzazione e normalizzazione del Medio Oriente che il presidente USA ha perseguito già dal suo primo mandato, quando come inviato in Medio Oriente c’era il genero Jared Kushner, che in questa occasione si è seduto al tavolo delle trattative a Sharm el Sheikh insieme a Steve Witkoff per rappresentare gli USA.

Quella approvata sarà anche una prima fase dell’accordo, ma intanto scioglie il nodo principale, quello del rilascio degli ostaggi. È un successo dell’amministrazione Trump per una politica perseguita riconoscendo comunque il peso che ha avuto l’operazione militare israeliana: Hamas ha accettato perché fortemente indebolita.



La determinazione del presidente americano nel condurre le trattative dipende anche dalla volontà di creare le condizioni per sviluppare accordi economici?

L’obiettivo USA è di stabilizzare il Medio Oriente, perché è una polveriera, lo abbiamo visto in questi due anni di guerra, e se si normalizza una regione così cruciale è chiaro che poi ne beneficiano anche gli affari. Abbiamo visto cosa è successo in questi mesi con il Mar Rosso e il canale di Suez. Quella di Trump, innanzitutto, è una strategia di politica estera.

Trump ha dichiarato di non essere contento dell’attacco di Israele in Qatar, ma credo che questa vicenda possa essere letta anche in un altro modo, come pressione americana su Doha, che secondo Washington non stava facendo abbastanza perché Hamas accettasse la tregua. Nella trattativa su Gaza, Egitto e Turchia hanno avuto un ruolo importante, ma la pressione su Hamas del Qatar è stata decisiva, anche se senza Trump non se ne sarebbe fatto niente.

Sulla decisione di Trump ha influito la lobby ebraica USA? Oppure è il modo di pensare dell’opinione pubblica statunitense che sta cambiando, visto che secondo i sondaggi il 56% approva il piano di Trump per Gaza e il 69% l’eventualità dei due Stati?

Firmato l’accordo di pace tra Israele e Hamas: la festa a Tel Aviv (ANSA-EPA 2025)

La comunità ebraica negli Stati Uniti ha sempre avuto una fortissima influenza sulle politiche presidenziali e questo indipendentemente dal partito dell’inquilino della Casa Bianca. Non vedo, però, un cambio di direzione: ha esercitato pressioni come ha fatto in precedenza. Così come non vedo incrinarsi i rapporti USA-Israele: Trump è particolarmente sensibile alle istanze dell’alleato, non per niente ha spostato l’ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme già durante il suo primo mandato.

Mentre con Biden gli USA sembravano succubi di Israele, almeno in occasione di questo accordo gli americani sembrano aver ripreso in mano le redini della partnership. Cosa ha voluto dimostrare Trump? Cambieranno i rapporti con i Paesi arabi anche da parte di Israele?

In Europa ci sono state grandi manifestazioni, però non hanno inciso sulla trattativa: l’America, invece, ha inciso, e anche pesantemente. I Paesi arabi, di fronte all’orribile carneficina di Gaza, di fatto non hanno mai preso una posizione dura nei confronti di Israele, anche perché Hamas è un’organizzazione terroristica che nessuno vuole tra i piedi: credo che ci sia la possibilità, per quando difficile, di arrivare ai due Stati, anche disarmando e mettendo all’angolo proprio Hamas.

Trump potrebbe andare in Israele e parlare alla Knesset: i partiti ultra-religiosi lo contesteranno?

L’ultradestra lo ha contestato fino alla fine, minacciando di non approvare l’accordo in Parlamento, ma c’è tutta l’opposizione pronta a sostituirla. Per quanto riguarda l’opinione pubblica israeliana in piazza, ho visto scene nelle quali viene riconosciuto il ruolo degli Stati Uniti.

E anche Netanyahu gode di una certa popolarità, soprattutto perché ha ottenuto il rilascio degli ostaggi, 48 in tutto, 20 dei quali vivi. I partiti nazionalisti e ultra-religiosi sono stati determinanti per tenere in vita il governo di Netanyahu, ma sulla politica degli Stati Uniti non hanno influito minimamente. Anzi, è emersa la forza dell’America, il suo ruolo geopolitico centrale.

Il presidente americano riuscirà ad avere il Nobel per la pace?

Visto i risultati che ha ottenuto con questo accordo se lo meriterebbe. A Obama lo hanno dato praticamente all’inizio del suo mandato, sulla fiducia, forse anche per quello che rappresentava nella storia americana in quanto primo presidente afroamericano, tant’è che lui stesso si chiese perché glielo avevano conferito.

Nobel o non Nobel, il risultato ottenuto da Trump è enorme: tutti volevamo la fine di quello che stava succedendo a Gaza e la prospettiva di un Medio Oriente diverso. Nel suo piano, d’altra parte, si prevede la possibilità dell’autodeterminazione del popolo palestinese, anche se libero dalla presenza di Hamas, che in questi mesi ha tenuto in ostaggio anche la stessa popolazione palestinese usandola come scudo.

Ora Trump cercherà anche di chiudere la guerra in Ucraina?

Per ora Putin ha dimostrato di non avere nessuna intenzione di concludere la guerra, vuole sfruttare fino a quando sarà possibile la stagione per avanzare, prima che con l’autunno cambino le condizioni meteorologiche rendendo difficili le operazioni militari.

(Paolo Rossetti)

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI