Nella roulette degli eventi clamorosi che fanno la fortuna o la sfortuna di un programma televisivo, ieri la pallina si è fermata sul giorno 15 febbraio. Martedì. Quindi è toccato in sorte a Ballarò di affrontare in un talk show televisivo la notizia del rinvio a giudizio di Berlusconi per concussione e prostituzione minorile. E neanche a due giorni dalla grande manifestazione che ha portato più di un milione di donne in oltre 230 piazze d’Italia. Vedremo come sarà andata la guerra dell’audience con il Festival di Sanremo per capire se il pubblico televisivo ha preferito stare sulla notizia del giorno o pensare ad altro distraendosi con le canzoni, Morandi, Belen e la Canalis.
L’argomento della trasmissione è davvero rovente: lo si capisce subito dal fatto che in studio, di fronte a Rosy Bindi, oltre che alla battagliera Bernini, il PDL abbia schierato nientemeno che il capogruppo alla Camera Cicchitto, che pure aveva rinunciato ad essere presente giovedì scorso ad Annozero.
Con una certa abilità chitarristica Crozza introduce la sua satira con una canzoncina sul rinvio a giudizio, poi come al solito cerca di sfottere a destra e a manca, ma Cicchitto reagisce subito nervosamente.
Montaggio della manifestazione di domenica: colpisce Giulia Bongiorno con la sua appassionata arringa dal palco di Piazza del Popolo: “Se ciascuno è libero di fare i festini hard che vuole, non è accettabile che tali festini diventino il metodo di selezione della classe politica”. Si intervistano pensionati di opposte tendenze, si intervista Ferrara che, montando sulla sua vespa rossa, dice al volo che “L’Italia è in un momento disordinato”, momento di cui la sua manifestazione con le mutande non è apparsa, a detta di alcuni ospiti in studio, esattamente un momento di ordine.
Cicchitto attacca con il ben noto ritornello della persecuzione dei magistrati rossi, tagliando molte curve nella gimkana dei concetti giuridici, e dando per scontate alcune sue personalissime versioni dei medesimi concetti.
Rosy Bindi sottolinea che oggi siamo ad una svolta, perché l’inchiesta è stata giudicata fondata da un magistrato terzo, il gip, e che a capo della Procura di Milano c’è una persona notoriamente equilibrata come Bruti Liberati. “Se si è garantisti, perché chiedere le dimissioni del Premier prima del giudizio?” chiede Floris. Risponde la Bindi: la gravità delle accuse e l’impaccio che tutto ciò arreca al Presidente del Consiglio richiedono che Berlusconi si dimetta per ridare respiro e dignità al paese e vada a difendersi nel processo e non dal processo.
Dialogo tra sordi tra Cicchitto e Bindi: uno dice che sono i magistrati a provocare il discredito internazionale, l’altra ribadisce che se il Presidente non avesse tenuto certi comportamenti il mondo non ci disprezzerebbe così.
La Bernini sostiene che l’invio di così tante carte alla Camera è stato un escamotage per fare uscire le intercettazioni, poi dice che il processo mediatico è già stato fatto su “carotaggi” di intercettazioni incomplete, fuori dal contesto, eccetera. Anche questa è una posizione più che rispettabile, ma che continua poi con il solito ragionamento riguardo alla competenza, che non sarebbe della Procura di Milano ma del Tribunale dei Ministri.
Bocchino spiega con una certa efficace chiarezza che secondo lui Berlusconi vuole andare al Tribunale dei Ministri perché per andarci deve ottenere un’autorizzazione parlamentare che è evidente non verrà mai data. Dal punto di vista puramente mediatico, Yoda pensa che ogni tanto potrebbe essere risparmiati al pubblico i problemi estetici della Bernini che più entra in tensione più diventa una maschera, per cui anche le sue tesi rischiano di risultare sgradevoli.
Per la fiera delle siliconature labiali passa poi un servizio con una inviperita Santanchè, mentre sullo sfondo delle mutande appare Ferrara a fustigare i bacchettoni e a denunciare la nuova inquisizione.
Assai interessante l’intervento molto cinico di Luttwak. Secondo lui dall’America si notano tre anomalìe: la prima riguarda la mancanza della obbligatoria ipocrisia di qualunque uomo pubblico. La seconda riguarda la mancanza di una opposizione che non è capace di presentare un credibile progetto alternativo. La terza riguarderebbe a suo dire il fatto che gli investitori stranieri non investirebbero in Italia per paura di una magistratura lenta e soprattutto pasticciona. Secondo il politologo americano, in qualsiasi paese del mondo, se non ci si attiene a quell’ipocrisia istituzionale che a suo dire fa parte del gioco democratico occorre saperne trarre le conseguenze. In una parola, se la propria moralità privata cozza con quella pubblica e non si è capaci di tenere il fatto nascosto e si viene scoperti, ci si deve dimettere.
Manfellotto, direttore de L’Espresso, chiarisce al colto e all’inclita che l’accusa di concussione poggia sulla convinzione che Berlusconi abbia telefonato in questura approfittando della sua “qualità” di Presidente del Consiglio e non nella “funzione” di Presidente del Consiglio per evitare una crisi diplomatica (cosa alla quale nemmeno i tassisti credono più). Sembrano disquisizioni da azzeccarbugli, ma è su queste sottigliezze che si base anche la plausibilità dell’invocazione del ricorso al tribunale dei ministri.
Con una certa ragione sostiene che quel livello di necessaria ipocrisia citato da Lutwak è stato del tutto abbandonato, ma praticamente sostenendo poi che tutto è lecito.
Bindi ribadisce il punto chiedendo se la Bernini crede veramente che Berlusconi abbia telefonato in questura per evitare una crisi diplomatica con Mubarak, quando poi la sua presunta nipotina è stata abbandonata poco dopo in strada dalla Minetti a una prostituta… una riflessione di non poco peso, per la verità.
Ma la Bernini non risponde alla domanda diretta, e invece strilla, si agita, parla d’altro, a precisa domanda di Floris non si dichiara in imbarazzo per la vita privata del premier che si è pure dichiarato peccatore, ma per la violazione del segreto istruttorio. Sic.
Poi Bindi scatena la rissa affermando di “vergognarsi, in quanto donna, dell’attuale Presidente del Consiglio”. E per un po’ da casa non si capisce più nulla.
I sondaggi di Pagnoncelli su Berlusconi come politico mostrano sempre un paese diviso, con una piccola maggioranza a favore di chi lo ritiene censurabile su molti aspetti. Il 60% pensa che dovrebbe dimettersi, mentre il 34% no.
Secondo Bocchino si è arrivati alla fine del Berlusconismo, e il problema è che la sua fine non può coincidere con uno scontro istituzionale, mentre – inoltre- non è accettabile che una signora come la Minetti sia ricompensata con 800.000 euro in 5 anni (stipendio del consigliere regionale) solo per aver gestito il traffico delle ragazze dell’Olgettina.
A queste affermazioni Cicchitto e Bernini insorgono sostenendo che si danno per scontati fatti che scontati e accertati ancora non sono, e così si ripiomba nel circolo vizioso che per stabilirlo ci vorrebbe sì un giudizio, ma quello dei magistrati competenti, e quindi – a dir loro- del tribunale dei ministri…che però, guarda caso, abbisogna dell’autorizzazione a procedere della Camera. E così risiamo daccapo.
Di fronte ai sondaggi che prevedono (con un 40% di persone che non si esprimono) sempre una prevalenza del centrosinistra, con in più un 20% per il polo di centro, Cicchitto prova a dire che i sondaggi non vanno presi come vangelo. Eccellente assist per la Bindi che –toscaneggiando con notevole efficacia televisiva- gli rinfaccia: “parlate proprio voi che vivete di sondaggi ad ogni piè sospinto”.
C’è pure un faccia-a-faccia virtuale tra Ferrara e Scalfari, in realtà si tratta di spezzoni dell’intervista di Ferrara al TG1 con commenti molto brevi a seguire di Scalfari, così si capiscono un po’ meglio le posizioni. Ovviamente sarebbe meglio un dibattito vero.
Abbastanza impressionante il servizio sulla situazione dell’Aquila, sparato per la verità un po’ a tradimento. Un vero e proprio sasso nello stagno, del tutto avulso dal tema della serata.
Luttwak insiste sul fatto che se la sinistra non si presenta unita con un leader credibile come ad esempio Bersani, Berlusconi rivincerà di nuovo. Poi si lamenta che le sue intercettazioni sono state pubblicate da Repubblica, e subito dopo lamenta che le intercettazioni di Kennedy non sono uscite per l’ostruzionismo della magistratura di allora… mmm, la contraddizione è evidente, nel frattempo Bernini a pochi secondi dalla fine ricomincia a strepitare denunciando le violazioni della Costituzione, e così la trasmissione termina con un bel po’ di voci affastellate una sull’altra, il che fa capire il livello di nervosismo che sta salendo in tv. Ci rivediamo su queste colonne a commentare Annozero: teniamoci forte.