L’America scopre l’Europa, con un percorso inverso a quello di Cristoforo Colombo. Non è una battuta, perché se chiedete a un americano medio di Parigi, viindicherà Paris nel Texas e sicuramente non sa cosa sia ad esempio la Croazia. L’ignoranza su tutto ciò che non è America è colossale in quel paese, lo hanno dimostrato i numerosi svarioni del presidente Trump, mentre nei telegiornali, quando si parla di “esteri” si mandano servizi su cosa è successo ne Nebraska o nello Wyoming. Che poi, come ha fatto il New York Times, si dedichi un approfondito articolo alla musica europea, è qualcosa di inaudito. La musica, pop, hip hop e rock, d’altro canto l’hanno inventata loro, e il resto non conta. Il che ha anche una giustificazione, visto che gli europei, italiani soprattutto, hanno sempre copiato dai modelli americani. Complice però il recente Euro Contest, qualcosa deve essere scattato in loro, presentando i 15 artisti secondo loro più significativi della scena europea.
L’ITALIA MULTIRAZZIALE
ùFa piacere dunque vedere citato per primo il nostro Ghali (e non Mamhood, classificatosi secondo all’Euro contest). Del cantante trapper l’articolo loda più che la musica, definita una trap dai sapori pop, la figura e il personaggio, figlio di immigrati tunisini, dunque un esempio di quello che sta succedendo in una Europa che diventa multirazziale. Dal Ghali di periferia che faceva video fumando marijuana al Ghali risucchiato dalla pubblicità, grazie allo spot della Vodafone con Cara Italia che gli ha dato il successo, quello che adesso gli permette di fare il tutto esaurito nei palazzetti sportivi del paese. Ghali, scrive il New York Times, parla del momento difficile che si vive in Italia, nella quale i migranti vengono demonizzati, la cittadinanza per loro è un sogno, e i leader della politica ripetono in loop “prima gli italiani”. Viene citato un suo brillante verso: “Che razza di politica è questa? Che differenza c’è tra destra e sinistra? Quando mi dicono di andarmene a casa mia, io rispondo, sono a casa mia”. La musica è la sua terapia, dice, non sono interessato alla politica. Ai concerti passa dall’indossare la divisa dei detenuti di Guantanamo a abiti di moda firmati. Quando era un ragazzino, dice, si cambiava i vestiti quattro volte al giorno, gli è sempre piaciuto mettersi in mostra. Figlio di un tunisino finito anche in carcere e che poi ha abbandonato la famiglia per tornare in Africa, è stato cresciuto da una madre che ha lavorato duro per mantenerlo, Ghali ha preso ispirazione dalle vicende del padre per dedicare il suo ultimo brano, I love you, ai detenuti. Insomma, ce ne è abbastanza perché in America si parli di lui.