Era un po’ che, come si usa dire, era “in lavorazione”, ora aspettiamo la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto uscito dal Cdm corretto dal Dagl (Il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi, la struttura di supporto al presidente del Consiglio dei Ministri nella funzione di coordinamento dell’attività normativa del Governo. In particolare, il Dagl sovraintende alle diverse fasi del procedimento di adozione degli atti normativi, coordinandone e promuovendone l’istruttoria al fine di assicurare la qualità della regolazione e una corretta e adeguata attuazione del programma di Governo). Si tratta del Decreto legislativo in materia di riqualificazione dei servizi pubblici per l’inclusione e l’accessibilità in attuazione dell’articolo 2, comma 2, lettera 3) della Legge 22 dicembre 2021 n. 227, che è fratello dei provvedimenti che a cascata stanno uscendo dal Governo in materia di legge per la semplificazione normativa collegata alla Legge di bilancio.
<Per le persone disabili che lavorano nella Pa nel Dl si declinano alcuni provvedimenti pare in rafforzamento delle loro tutele per garantire l’accessibilità alle pubbliche amministrazioni e l’uniformità sul territorio nazionale al fine della loro piena inclusione. Il Dl sente la necessità addirittura – dopo 75 anni della nostra Costituzione e segnatamente agli art 4-32-35-37 e seguenti atti legislativi per non parlare di un vero e proprio Statuto dei diritti delle persone disabili -, verso le Pa di sottolineare che per accessibilità deve intendersi l’accesso e la fruibilità, su base di eguaglianza con gli altri, dell’ambiente fisico, dei servizi pubblici, compresi i servizi elettronici e di emergenza, dell’informazione e della comunicazione, ivi inclusi i sistemi informatici e le tecnologie di informazione in caratteri Braille e in formati facilmente leggibili e comprensibili, anche mediante l’adozione di misure specifiche per le varie disabilità ovvero di meccanismi di assistenza o predisposizione di accomodamenti ragionevoli.
Si prefigura, dunque, nell’ambito del personale in servizio, l’individuazione di un dirigente amministrativo ovvero un altro dipendente a esso equiparato, che abbia esperienza sui temi dell’inclusione sociale e dell’accessibilità delle persone con disabilità anche comprovata da specifica formazione, dunque un garante aziendale. Questo dirigente dovrà anche garantire che nel valutare la performance individuale e organizzativa prevista si debba tenere conto del raggiungimento o meno degli obiettivi per l’effettiva inclusione sociale e la possibilità di accesso alle persone con disabilità. “Obiettivi, anche nell’ottica di una corretta allocazione delle risorse, assicurano l’effettiva inclusione sociale e le possibilità di accesso delle persone con disabilità, correlati agli indicatori di performance relativi al raggiungimento degli obiettivi derivanti dalla programmazione strategica della piena accessibilità delle amministrazioni, da parte delle persone con disabilità”.
Per una maggiore parvenza di democrazia partecipativa e responsabilizzativa si citano, chiamandole in causa, le associazioni delle persone disabili inserendole come partnership. Il tutto (art. 9) senza risorse: “Dall’attuazione delle disposizioni di cui al presente decreto non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. Le amministrazioni interessate provvedono agli adempimenti previsti con le risorse umane, finanziarie e strumentali disponibili a legislazione vigente”. In nome di una produttività della Pa, in buona sostanza, un cd “ipotetico garante della lavoratrice o lavoratore disabile” dovrà farsi carico volontariamente di un processo delicato con molte attese senza spese. Sappiamo bene, infatti, per esempio, a tutt’oggi quanti sono i ricorsi in materia di discriminazione nella retribuzione che chiamano in causa i premi di produttività legati alla presenza al lavoro e non agli obiettivi raggiunti.
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