RIFORMA PENSIONI/ 27 dicembre 2016, la “data di scadenza” per chiedere gli arretrati

- Vincenzo Putrignano

La riforma delle pensioni voluta dal Governo Monti ha bloccato le rivalutazioni. Ora, ricorda VINCENZO PUTRIGNANO, non resta molto tempo per chiedere il rimborso integrale delle stesse

pensionati_anziani_anticipo_pensionistico_ape Lapresse

È prossimo alla scadenza il termine per richiedere all’Inps il rimborso delle quote di rivalutazione della pensione, sospesa a seguito della riforma pensionistica del 2011 voluta dall’allora ministro del Lavoro Fornero, e la ricostituzione degli importi pensionistici. Spieghiamo di cosa si tratta. La perequazione delle pensioni è il meccanismo con il quale si “portano ad equità”, ossia si adeguano gli importi dei trattamenti all’andamento del costo della vita; il meccanismo risponde al parametro costituzionale dell’adeguatezza della tutela previdenziale – e indirettamente anche ai criteri della proporzionalità e della sufficienza – e dunque vale a impedire che l’andamento dell’inflazione possa progressivamente erodere il potere di acquisto della pensione percepita.

Il Governo Monti, con decreto legge n. 201 del dicembre 2011, convertito con legge n. 214 del 2011, in ragione della «contingente situazione finanziaria», aveva sospeso per due anni la rivalutazione automatica dei trattamenti pensionistici di importo superiore a tre volte il trattamento minimo (circa mille euro netti). La Corte costituzionale, con sentenza n. 70 del 2015, ha dichiarato illegittima tale norma non solo per violazione dei parametri costituzionali già richiamati, ma anche per aver essa travalicato i limiti di ragionevolezza e proporzionalità; al contempo, ha lanciato un pressante invito al legislatore a regolare l’istituto in maniera coerente con il quadro costituzionale.

Il Governo, sul quale cadeva la responsabilità politica della norma, ha emanato un decreto legge, il n. 65 del 2015, con il quale ha (solo parzialmente) raccolto l’indicazione del Giudice delle leggi, consentendo, con effetto anche per gli anni 2012 e 2013, una ridotta rivalutazione (con percentuali “a scalare” in ragione della misura dell’importo, ma comunque nettamente meno favorevoli rispetto alla disciplina previgente) e comunque escludendola per le pensioni superiori a sei volte il trattamento minimo; per il 2014 e il 2015 è previsto un diverso meccanismo, con misure di rivalutazione ancor più ridotte; dal 2016 si applica poi un ulteriore meccanismo, sempre meno conveniente a quanto disposto prima del 2011. Si fa notare, per inciso, che anche quest’ultima disciplina è stata rimessa all’esame della Corte costituzionale, perché ritenuta ugualmente lesiva degli interessi costituzionali dei pensionati.

Ora, alla ricostituzione dei trattamenti pensionistici sulla base del decreto n. 65 l’Inps provvede d’ufficio, e a decorrere dall’agosto 2015 corrisponde le somme arretrate. Gli importi restituiti possono valere anche per il ricalcolo dell’importo pensionistico, ossia per la ricostituzione della pensione sulla base delle somme dovute dall’Istituto. Tuttavia, il pagamento delle spettanze agli aventi titolo sarà effettuato a domanda della parte interessata, nei limiti della prescrizione, che in tale materia è quinquennale e decorre dall’entrata in vigore della riforma Fornero delle pensioni, ossia il 27 dicembre 2011, data di pubblicazione in gazzetta ufficiale della legge di conversione n. 214 del 2011. Va da sé che il rimborso sarà comunque corrisposto entro i limiti ridotti posti dal decreto legge n. 65 del 2015.

È pertanto necessario che chi sia intenzionato a richiedere tali somme – e magari calcolate con i meccanismi precedenti alla riforma Fornero – diffidi l’istituto previdenziale a mezzo raccomandata entro il prossimo 27 dicembre; qualora l’Inps non risponda alla richiesta (e comunque decorsi centoventi giorni dalla presentazione di essa, termine scaduto il quale si forma il cosiddetto silenzio rigetto) sarà necessario adire le sedi giudiziali per la restituzione delle somme e la ricostituzione della prestazione pensionistica.

A margine di questo intervento, e nei limiti delle finalità informative e ricostruttive che si prefigge, sia consentito far notare che la vicenda della perequazione delle pensioni è significativa di quale sia stato (e sia) il modus operandi del legislatore.

La Corte costituzionale già in passato aveva definito i diritti previdenziali come diritti finanziariamente condizionati; con ciò, riconoscendo al legislatore un certo margine di discrezionalità, che gli consentirebbe un certo agio nella regolazione del quantum di tutela che si vuole accordare. Tuttavia, il potere legislativo è stato esercitato in modo non discrezionale quanto arbitrario: come proclama la stessa riforma Fornero, il blocco delle perequazioni è stato disposto per contingenti ragioni, e non alla luce di una complessiva riforma. Il che in qualche modo dipende anche dal fatto che il centro propulsivo di riforme in tali ambiti può essere e di fatto è (non il Parlamento ma) solo il Governo; e una riforma della previdenza è progetto troppo ambizioso per i governi di breve durata e corto respiro, quali quelli che si susseguono in Italia.

D’altra parte, il settore della previdenza sociale è costituito da un coacervo di norme strettamente intrecciate tra loro, che si sono stratificate nel tempo a volte senza un coerente disegno unificatore; e sul quale la Corte costituzionale è intervenuta più volte, proprio per far emergere un disegno unitario che dia coerenza al sistema e contenere gli interventi normativi che esulano da tale tracciato. Interventi correttivi del sistema possono essere dunque immaginati solo avendo riguardo al quadro complessivo.

Ora, la combinazione di questi due elementi ha creato – è giocoforza che crei – una cattiva normazione: la vicenda, che come abbiamo visto non è per nulla definita, del meccanismo di perequazione delle pensioni, è un esempio significativo per cogliere da dove nascono interventi normativi poco coerenti.





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