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Home » CONTRATTI/ Il “rebus” delle collaborazioni dopo il Jobs Act

CONTRATTI/ Il “rebus” delle collaborazioni dopo il Jobs Act

Guido Canavesi
Pubblicato 19 Febbraio 2016
Ufficio_Lavoro_GruppoR439

Infophoto

Uno degli obiettivi dichiarati del Jobs Act è il superamento dei contratti di collaborazione. GUIDO CANAVESI ci aiuta a capire cosa succede a quelli stipulati nel 2016

Nel dibattito che ha accompagnato l’approvazione del Jobs Act si è spesso parlato della cancellazione dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa, ed effettivamente la legge n. 183 del 2014 ne prevede il “superamento”, sia pure graduale e soltanto nella delega sulla riforma dei trattamenti di disoccupazione. Peraltro, le scelte poi assunte al riguardo negli artt. 2, 52 e 54, d.lgs. n. 81 del 2015, ben possono trovare copertura anche nei più generali criteri della delega sulla semplificazione delle discipline delle tipologie contrattuali. Ad esempio, esse ben si collocano nella prospettiva del contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato quale “forma comune di rapporto di lavoro”, principio altresì significativamente ribadita dall’art. 1, d.lgs. n. 81. Quali sono, allora, quelle scelte?


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Fondamentale è l’art. 52, che sancisce l’abrogazione degli articoli da 61 a 69 bis, d.lgs. n. 276 del 2003, mentre fa salvo l’art. 409 c.p.c. Dunque, dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 81 (16 giugno 2015) non è più possibile stipulare contratti di lavoro a progetto, mentre resta aperta la strada dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa, resa senza vincolo di subordinazione e con il lavoro prevalente del collaboratore. I contratti di lavoro a progetto in corso alla suddetta data restano validi e a essi continua ad applicarsi la relativa disciplina, ma a esaurimento, cioè fino al loro scadere, trattandosi di contratti necessariamente a termine.


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Peraltro, l’art. 54 interviene per favorirne il superamento anticipato, nonché evitare il possibile contenzioso riguardo la loro natura, anche riferita a contratti già conclusi. La disposizione, infatti, con decorrenza dal 1° gennaio 2016 consente ai datori di lavoro di assumere con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato “soggetti già parti di contratti di collaborazione coordinata e continuativa anche a progetto” nonché “titolari di partita Iva”, e stabilisce che l’assunzione “determina l’estinzione degli illeciti amministrativi, contributivi e fiscali connessa all’erronea qualificazione del rapporto di lavoro” (salvo che tali illeciti siano stati oggetto di accertamento ispettivo prima dell’assunzione), purché siano rispettate due condizioni. I lavoratori devono conciliare tutte le “possibili pretese riguardanti la qualificazione del pregresso rapporto di lavoro” e ciò a garanzia del datore di lavoro da un eventuale contenzioso al riguardo. Questi, dal canto suo, non può recedere dal rapporto di lavoro per i dodici mesi successivi all’assunzione, salvo che per giusta causa o giustificato motivo soggettivo, in sostanza per inadempimento del lavoratore. Inoltre, il ministero del Lavoro ha chiarito che queste assunzioni possono usufruire dell’esonero contributivo stabilito dalla Legge di stabilità 2016.


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Ove non stabilizzati ai sensi dell’art. 52, quei contratti ancora in essere al 1° gennaio 2016, come pure quelli stipulati da tale data ai sensi dell’art. 409 c.p.c. rischiano comunque di incappare nella norma di cui all’art. 2, co. 1, d.lgs. n. 81. Questa sancisce l’applicazione della disciplina del rapporto di lavoro subordinato ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro esclusivamente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente anche con riferimento ai tempi e al luogo di lavoro. 

Se l’intenzione del legislatore è chiara, limitare il ricorso al contratto ex art. 409 c.p.c. a prestazioni genuinamente autonome, non altrettanto lo è la modalità di realizzazione. Sull’esatto significato della disposizione, infatti, s’è aperto un intenso dibattito che vede contrapporsi la tesi dell’estensione della nozione di subordinazione alle prestazioni etero-organizzate dal datore di lavoro (e non più solo eterodirette) all’opposta opinione di chi la ritiene operante più sul piano degli effetti che della fattispecie. In tal senso essa renderebbe applicabile la disciplina del lavoro subordinato a prestazioni in realtà spesso dedotte in contratti a progetto, ma dall’incerta collocazione fra autonomia e subordinazione in ragione dello stringente coordinamento temporale (vincoli di orario) e spaziale (luogo di adempimento) che sono chiamate a rispettare. 

Ferma restando la necessaria verifica giurisprudenziale, è alla seconda ipotesi menzionata che pare ispirarsi la posizione di recente assunta al riguardo dal ministero del Lavoro (circolare n. 3 del 2016). Secondo l’amministrazione pubblica, infatti, la condizione di etero-organizzazione della prestazione si verifica “ogniqualvolta il collaboratore operi all’interno di una organizzazione datoriale rispetto alla quale sia tenuto a osservare determinati orari di lavoro e sia tenuto a prestare la propria attività presso luoghi di lavoro individuati dallo stesso committente”. In altri termini, basta a integrare quella condizione il fatto che le coordinate spazio-temporali della prestazioni siano imposte al collaboratore dall’organizzazione esistente. 

A determinare l’applicazione della disciplina del lavoro subordinato non basta, però, questa condizione, perchécongiuntamente – precisa la circolare – la prestazione deve essere anche esclusivamente personale, cioè resa senza l’ausilio di altri, e continuativa, ossia ripetuta nel tempo. Quanto alla disciplina applicabile si tratterebbe “di qualsivoglia istituto, legale o contrattuale, normalmente applicabile in forza di un rapporto di lavoro subordinato”. L’opinione, peraltro, non è da tutti condivisa, poiché la natura, comunque non subordinata della prestazione, renderebbe inapplicabile almeno quella parte della disciplina relativa ai poteri gestionali del datore di lavoro, che sostanziano la subordinazione del lavoratore.

Va ricordato, infine, che all’applicazione del co. 1, peraltro, sono sottratte le collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative prevedano specifiche discipline riguardanti il trattamento economico e normativo; quelle prestate nell’esercizio di professioni intellettuali richiedenti l’iscrizione negli albi professionali oppure rese a fini istituzionali in favore delle associazioni e società sportive dilettantistiche e, da ultimo, le attività prestate nell’esercizio della loro funzione dai componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dai partecipanti a collegi e commissioni.


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