Nessun sistema sociale può fare a meno della carità
Ritenere che la lotta alla povertà debba comportare un ritorno allo statalismo è stato un errore anche nel nostro paese, dove si è pensato che per affrontare il problema della giustizia sociale bastasse gonfiare la spesa pubblica
Ritenere che la lotta alla povertà debba comportare un ritorno allo statalismo è stato un errore anche nel nostro paese, dove si è pensato che per affrontare il problema della giustizia sociale bastasse gonfiare la spesa pubblica
Lo sviluppo vertiginoso che ha portato l’Italia distrutta dalla guerra ad essere uno dei Paesi più industrializzati e sviluppati del mondo è avvenuto, per molti decenni, senza perdere di vista la solidarietà, grazie ad una radicata cultura popolare che nelle sue diverse identità, cattolica, socialista, liberale, ha sempre messo al centro la dignità dell’uomo.
Non è scontato, se si vede come in certi Paesi asiatici un aumento vertiginoso del Pil e della ricchezza di alcuni significa crescente povertà per altri, o se si pensa che negli Usa, da sempre faro della democrazia e della libertà, ci sono tutt’oggi 25 milioni di persone sotto la soglia della povertà e 40 milioni con assistenza sanitaria minima.
Il liberismo “selvaggio”, invocato come la magica risoluzione neoclassica a tutti i problemi, infatti, è spesso mosso da una concezione darwinista della società, per cui è giusto che solo i migliori emergano. Tuttavia, ritenere che la lotta alla povertà debba comportare un ritorno allo statalismo è altrettanto ingannevole. Anzi, si può affermare che questo è stato l’errore di lungo periodo anche nel nostro paese, dove si è pensato che per affrontare il problema della redistribuzione e della giustizia bastasse gonfiare la spesa pubblica. Come dimostra ad esempio l’intervento straordinario per il Mezzogiorno e come afferma il professor Julian Le Grand della London School of Economics, teorico blairista dei “quasi mercati”, lo statalismo, oltre che endemicamente inefficiente, paternalisticamente incapace di suscitare una responsabilità personale e sociale, fonte di clientelismo, è per natura anche iniquo e inadatto a contrastare l’incremento della povertà e delle ineguaglianze.
Benedetto XVI ha affermato nella “Deus Caritas Est” che «l’amore – caritas – sarà sempre necessario, anche nella società più giusta». La carità è l’inizio della giustizia, l’aiuto immediato dell’uomo verso il suo prossimo, che nessuna azione sociale potrà mai sostituire. Dallo sviluppo di una cultura fondata sulla carità sono nate le opere sociali, tentativi atti a suscitare in chi è povero una responsabilità nell’affronto dei suoi problemi e una solidarietà operosa in tutta la popolazione; l’impegno per un mercato non darwinista; intereventi politici quali il 5 per mille, attuati secondo il principio “i soldi seguono la scelta degli utenti”; enti pubblici, dotati di autonomia gestionale e responsabilità. Come afferma il Compendio della Dottrina sociale: «Il principio della solidarietà, anche nella lotta alla povertà, deve essere sempre opportunamente affiancato da quello della sussidiarietà, grazie al quale è possibile stimolare lo spirito d’iniziativa, base fondamentale di ogni sviluppo socio-economico, negli stessi Paesi poveri».
La giornata della Colletta alimentare che coinvolge imprese, opere di volontariato, semplici cittadini, in un impegno comune per i poveri, senza aspettare e delegare ad altri, ne è un esempio clamoroso, metodologicamente significativo. Che diventi metodo generale, capace di informare l’azione sociale e politica, dipende dalla nostra intelligenza di saper imparare dal nuovo che avanza.
Non è scontato, se si vede come in certi Paesi asiatici un aumento vertiginoso del Pil e della ricchezza di alcuni significa crescente povertà per altri, o se si pensa che negli Usa, da sempre faro della democrazia e della libertà, ci sono tutt’oggi 25 milioni di persone sotto la soglia della povertà e 40 milioni con assistenza sanitaria minima.
Il liberismo “selvaggio”, invocato come la magica risoluzione neoclassica a tutti i problemi, infatti, è spesso mosso da una concezione darwinista della società, per cui è giusto che solo i migliori emergano. Tuttavia, ritenere che la lotta alla povertà debba comportare un ritorno allo statalismo è altrettanto ingannevole. Anzi, si può affermare che questo è stato l’errore di lungo periodo anche nel nostro paese, dove si è pensato che per affrontare il problema della redistribuzione e della giustizia bastasse gonfiare la spesa pubblica. Come dimostra ad esempio l’intervento straordinario per il Mezzogiorno e come afferma il professor Julian Le Grand della London School of Economics, teorico blairista dei “quasi mercati”, lo statalismo, oltre che endemicamente inefficiente, paternalisticamente incapace di suscitare una responsabilità personale e sociale, fonte di clientelismo, è per natura anche iniquo e inadatto a contrastare l’incremento della povertà e delle ineguaglianze.
Benedetto XVI ha affermato nella “Deus Caritas Est” che «l’amore – caritas – sarà sempre necessario, anche nella società più giusta». La carità è l’inizio della giustizia, l’aiuto immediato dell’uomo verso il suo prossimo, che nessuna azione sociale potrà mai sostituire. Dallo sviluppo di una cultura fondata sulla carità sono nate le opere sociali, tentativi atti a suscitare in chi è povero una responsabilità nell’affronto dei suoi problemi e una solidarietà operosa in tutta la popolazione; l’impegno per un mercato non darwinista; intereventi politici quali il 5 per mille, attuati secondo il principio “i soldi seguono la scelta degli utenti”; enti pubblici, dotati di autonomia gestionale e responsabilità. Come afferma il Compendio della Dottrina sociale: «Il principio della solidarietà, anche nella lotta alla povertà, deve essere sempre opportunamente affiancato da quello della sussidiarietà, grazie al quale è possibile stimolare lo spirito d’iniziativa, base fondamentale di ogni sviluppo socio-economico, negli stessi Paesi poveri».
La giornata della Colletta alimentare che coinvolge imprese, opere di volontariato, semplici cittadini, in un impegno comune per i poveri, senza aspettare e delegare ad altri, ne è un esempio clamoroso, metodologicamente significativo. Che diventi metodo generale, capace di informare l’azione sociale e politica, dipende dalla nostra intelligenza di saper imparare dal nuovo che avanza.
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