Il giuslavorista e senatore del Partito Democratico torna sul tema del “contratto di transizione”, che ha sollevato un’ampia discussione, e sulle riforme strutturali che si possono mettere in atto approfittando della crisi economica in corso. «Il nostro progetto per la transizione alla flexsecurity? Non costa un solo euro allo Stato. E non impone affatto un unico tipo contrattuale, ma soltanto uno standard universale di flessibilità per le imprese e di protezione della stabilità per tutti coloro che lavorano in una posizione di sostanziale dipendenza economica».
Professore, secondo i dati pubblicati il 4 gennaio da Mannheimer sul Corriere della Sera, sono soprattutto i giovani sotto i 25 anni a mettere il tema del lavoro tra quelli “più importanti da affrontare” nel 2009. Quale mercato del lavoro li attende?
Dobbiamo tutti considerarci come formichine in un grande formicaio. Ci dà un po’ di ansia il brulicare intorno a noi di migliaia di altre formichine, ciascuna alla ricerca del “buco” adatto in cui infilarsi; ma nel formicaio ci sono migliaia di buchi aperti, anche se da dove siamo non li vediamo. In ogni città, anche nel pieno della crisi, decine di migliaia di aziende: basta che una su dieci abbia bisogno di nuovo lavoro, e sono migliaia di posti aperti ogni settimana, ogni giorno; fra questi ce ne sono certamente almeno venti che fan per ciascuno di noi. Ciascuno deve imparare a “ingaggiare”, tra i venti imprenditori, quello che può meglio valorizzare il suo lavoro.
Questa visione ottimistica vale anche in un periodo di crisi come quello che stiamo attraversando?
È vero, in tempo di crisi la possibilità di scelta si riduce. Ma ciascuno deve imparare a compensare la riduzione, allargando il proprio raggio d’azione: le possibilità di scelta di ciascuno di noi aumentano in ragione quadratica del nostro raggio d’azione. Se lo raddoppiamo, le nostre possibilità di scelta si moltiplicano per quattro; se lo triplichiamo, si moltiplicano per nove. Allargare il raggio è la vera misura anticrisi. Uno che non sta fermo, che sa muoversi, non corre mai il rischio di restare per strada.
Lei (come il Pd) rimprovera al governo misure estemporanee per far fronte al primo problema del nostro mercato del lavoro, il cd. dualismo. Sacconi, sul nostro quotidiano, ha detto che non è possibile ora fare riforme strutturali perché non è possibile fare spese strutturali. Come difende da quest’obiezione la sua proposta del “contratto di transizione”?
Il nostro progetto per la transizione alla flexsecurity e il superamento del dualismo tra protetti e non protetti (per il quale rinvio al mio sito: www.pietroichino.it) ha la caratteristica, del tutto inconsueta, di non costare un solo euro allo Stato. D’altra parte, è proprio in un periodo di crisi economica, quindi di grave incertezza sul futuro, che le imprese sono più riluttanti a compiere nuove assunzioni con garanzie rigide di stabilità. Proprio in questo periodo, dunque, è indispensabile trovare il modo di coniugare la flessibilità di cui le imprese hanno bisogno con una nuova forma di protezione della stabilità del lavoro e del reddito dei lavoratori, se vogliamo evitare che si allarghi l’area del lavoro precario.
Il “contratto di transizione” non costerà allo Stato, ma costerà alle imprese…
Per le imprese che aderiranno al progetto, il costo del lavoro subordinato non aumenterà affatto, poiché il contributo medio dello 0,5% destinato al finanziamento dell’ente incaricato del trattamento di disoccupazione e ricollocazione sarà compensato dalla fissazione al 30% del contributo pensionistico per tutti i nuovi lavoratori assunti in posizione di “dipendenza economica”.
Sta di fatto che la crisi incalza, mentre per la realizzazione di questo progetto ci vorrebbero comunque tempi lunghi.
Con una maggioranza ben decisa e con le idee chiare, i tempi di attuazione del progetto di cui stiamo discutendo non sarebbero molto lunghi. In Parlamento oggi anche leggi complesse vengono varate in due o tre mesi; quanto alla negoziazione fra gruppi di imprese e sindacati, essa potrebbe procedere già in parallelo rispetto all’iter parlamentare della legge. Vale comunque anche in questo campo il vecchio apologo: «In un giardino assolato il signore disse al giardiniere: “qui fa molto caldo: pianta un albero”. Il giardiniere obiettò: “un albero ci metterà almeno dieci anni a dare ombra”. Il signore gli disse: “appunto: non c’è da perdere un minuto”».
La molteplicità di forme contrattuali introdotte dalla legge Biagi si proponeva di incrementare l’occupazione con strumenti contrattuali aperti alla varietà di situazioni ed esigenze di un sistema produttivo unico al mondo per le sue caratteristiche come quello italiano. La sua proposta di riforma non rischia di voler semplificare gli strumenti di cui un sistema di per sé così articolato ha bisogno?
La riforma che proponiamo non impone affatto un unico tipo contrattuale, ma soltanto uno standard universale di flessibilità per le imprese e di protezione della stabilità per tutti coloro che lavorano in una posizione di sostanziale dipendenza economica. Nel “guscio” di questo standard universale inderogabile possono trovare posto i tipi contrattuali più diversi: dal lavoro subordinato tradizionale al tele-lavoro, dal part-time al job-sharing, dall’apprendistato al lavoro in staff leasing, dal lavoro cooperativo al lavoro in partecipazione. Questo è il motivo per cui preferisco non utilizzare il termine “contratto unico”, col quale si indica comunemente questa strategia di riforma.
Cosa pensa degli interventi di sostegno al reddito fatti dal governo?
Hanno il difetto di essere temporanei, di non avere carattere strutturale. Per dare alla gente fiducia nel futuro occorre cogliere l’occasione della grave crisi economica per ristrutturare profondamente il sistema degli ammortizzatori sociali. Credo, poi, che sarebbe tempo di detassare drasticamente i redditi di lavoro fino ai 1.000 euro al mese, che possiamo considerare come una soglia di povertà. Costerebbe circa 8 miliardi: meno di quello che ha speso il Governo per togliere l’ICI sulle case dei ricchi e differire di un anno l’ingresso di Air France-KLM in Alitalia.
Il ministro Sacconi, in un’intervista al Corriere della Sera del 31 dicembre, ha detto che occorre puntare sulla formazione e agganciare per quanto è possibile la formazione all’impresa. Questa tesi non dovrebbe vederla in disaccordo. È così?
Infatti, su questo punto concordo pienamente con Sacconi.