Credo abbia ragione Raffaele Bonanni quando afferma che si può discutere di tutto, di regole, di retribuzioni, di orari di lavoro, di diritti sindacali ovvero della possibilità di realizzare un nuovo Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per il settore Automotive: una filiera produttiva che vada dall’assemblaggio finale di una vettura risalendo per i materiali, gli accessori, i semilavorati. Nella sostanza, un contratto solo per la Fiat e per le aziende del suo indotto produttivo.
Se non si trattasse del “fatidico e messianico” contratto dei metalmeccanici sarebbe un fatto normale, nelle cose sindacali si definirebbe un fatto “fisiologico”; purtroppo siamo in questa realtà, immersi in una questione che si chiama Fiat (con il peso dell’azienda in Italia e nel mondo), con un manager del calibro di Sergio Marchionne, al quale tutto si può rimproverare, salvo di non essere chiaro ed esplicito negli intendimenti, negli obiettivi e nel segnalare i vincoli posti dalla competizione, stretta nell’equilibrio tra qualità dei prodotti, costi e valore aggiunto generato.
Ma perché ha ragione Bonanni, quando segnala che tutti i sindacati sono disponibili a tutto (meno una Organizzazione), salvo che a discutere “a vuoto”? Perché, pur comprendendo i pesanti problemi di mercato del settore, Marchionne deve indicare una volta per tutte cosa intende fare in Italia (la famosa Fabbrica Italia), con la spiegazione di come vengono spesi i 20 miliardi di euro annunciati (e stanziati?): quali modelli, in quali stabilimenti, con quali assetti produttivi e di turni e con che tempi le persone rientrano al lavoro dalla cassa integrazione.
Anche il Presidente degli industriali chimici, Giorgio Squinzi, in una recente intervista sul Corriere della Sera, ha invitato Marchionne a investire molto di più in R&S, a usare fino in fondo i talenti e le potenzialità presenti nel perimetro Fiat sul terreno dell’innovazione, evitando di seminare ulteriori incertezze sul destino degli impianti italiani. La percezione che non tutto sia stato dichiarato (vedi i destini di Alfa Romeo) serpeggia tra i sindacalisti e gli analisti, tra politici e banchieri, e in questo senso, nell’incertezza che riguarda migliaia di persone e di famiglie, perché discutere mettendo il carro davanti ai buoi?
La cassa integrazione, in questa fase, è massicciamente utilizzata in una parte degli stabilimenti del gruppo, Pomigliano e Mirafiori comprese e, di conseguenza, le uscite del manager italo-canadese-americano vengono percepite come il gioco del cane che si morde la coda, dando fiato e sponda a chi ha abbandonato i tavoli sindacali, a chi si oppone a un utilizzo crescente degli impianti, unica vera chance italiana per garantire produttività del lavoro e produzioni a costi accettabili, oltre che occupazione stabile e retribuzioni più robuste per gli addetti.
Se la Fiat esce da questa fase, non solo chiedendo a Confindustria e sindacati diverse regolazioni dei rapporti di lavoro in nuovi contratti collettivi, ma dichiarando i propri piani realisticamente e concretamente, forse la situazione si sbloccherebbe e tutti avrebbero la misura di quanto chiedere e quanto concedere, nucleo essenziale della contrattazione sindacale.
In questo senso, le dinamiche emerse nelle recenti settimane permettono di affermare che la sfida posta va oltre il normale e fisiologico rapporto sindacale: le questioni richiamate sul contratto dell’auto pongono un problema di qualità della rappresentanza sindacale, in un gioco sicuramente pesante, che metterà Cgil e Fiom di fronte a scelte radicali, anche per il loro futuro.
La nuova società Fiat-Chrysler (newco), a cui saranno conferiti gli stabilimenti di Mirafiori e Pomigliano con relativo personale, non sarà associata a Confindustria e a Federmeccanica (rientrerà, forse, una volta realizzata la nuova associazione di settore dell’auto); in questo senso non sussisterà l’obbligo di rispettare e applicare gli accordi sulla rappresentanza sindacale (accordi interconfederali sulle RSU del 1993) e il contratto nazionale dei metalmeccanici. La newco chiederà ai sindacati (da qui gli incontri di questi giorni in Federmeccanica) di predisporre un contratto specifico per l’auto, con maggiori flessibilità nell’utilizzo degli impianti; di fronte al diniego già annunciato dalla Fiom, si perseguirà l’idea di un contratto “aziendale” (a cui probabilmente aderiranno Fim, Uilm, Fismic e Ugl) e a quel punto la Fiom non potrà essere presente e rappresentata nella nuova azienda. Questo sindacato non avrà più la possibilità di sedersi al tavolo delle trattative, non potrà indire assemblee, non godrà di diritti e permessi sindacali retribuiti, ecc.
Infatti, non applicando la disciplina della rappresentanza unitaria (RSU), si potrà applicare solo la Legge 300 del 1970 (Statuto dei lavoratori), modificata dal referendum del 1995, che delinea la possibilità di creare Rappresentanze sindacali aziendali (RSA) solo alle organizzazioni firmatarie del contratto di lavoro applicato in azienda. Siamo quindi oltre le deroghe ai contratti nazionali, che, comunque, potrebbero essere contestate con innumerevoli ricorsi giudiziari da parte di chicchessia; quindi un contratto aziendale, firmato dai sindacati disponibili a condividere le scommesse di Fabbrica Italia. In futuro si vedrà quando e se rientrare in Confindustria, fare Federauto e relativo contratto nazionale, ecc.
Questo l’obiettivo, ormai abbastanza esplicito, di Marchionne e del management Fiat: non si spiegherebbe “l’imbarazzo” confindustriale e forse sono tanti che hanno l’interesse a spostare l’asse interno a Confindustria, sempre pesantemente condizionato da Federmeccanica, come si è visto anche nel 2009 quando la Marcegaglia, rompendo gli schemi interni, firmò gli accordi sindacali senza la Cgil.
Sul fronte Fiat si giocano quindi diverse e molteplici partite, inedite e che riguardano tutti gli attori della rappresentanza: cercare di abbattere il peso delle ali oltranziste della Fiom, verificare quanto il nuovo corso Cgil con la Camusso sia in grado di “normalizzare” la Fiom stessa, una rappresentanza delle imprese più coraggiosa in seno a Confindustria ovvero la nuova Federauto (se si farà), una maggiore aderenza delle regolazioni di lavoro alle situazioni aziendali e più “prossime” alle persone, nuovi strumenti per governare gli stabilimenti nelle situazioni di assenteismo patologico e per impedire scioperi illegittimi e dannosi in questa situazione di crisi e altro ancora. Siamo solo agli inizi di una partita, le cui regole devono ancora essere compiutamente scritte.