Secondo GIULIANO CAZZOLA, la norma contenuta nella bozza sulle liberalizzazioni faciliterebbe all’aggregazione delle imprese, ma difficilmente potrà mai vedere la luce del sole

Una leggina introdotta di soppiatto per modificare, senza troppo clamore, sobriamente e di nascosto l’intera normativa; oppure un atto d’imperio, suffragato dalla noncuranza di chi non deve, semplicemente, render conto a nessuno. Comunque si legga la vicenda, poche righe contenute nel decreto sulle liberalizzazioni (se la bozza che sta circolando non sarà modificata) sovvertiranno 41 anni di disciplina. «Dopo il comma 1 dell’art. 18 della legge 20 maggio del 1970, n. 300, è aggiunto il seguente: “In caso di incorporazione o di fusione di due o più imprese che occupano alle proprie dipendenze alla data del 31 gennaio 2012 un numero di prestatori d’opera pari o inferiore a quindici, il numero di prestatori di cui al comma precedente è elevato a 50”»: è quanto basta per consentire alle aziende che, aggregandosi non supereranno i 50 dipendenti, di non dovere rispettare i dettami dell’articolo 18. Abbiamo chiesto a Giuliano Cazzola, Vicepresidente della Commissione Lavoro della Camera, ragguagli in merito.



La norma, a quanto ci risulta, è spuntata mercoledì

Anche per me è stata una sorpresa.

Si tratta di una vittoria di Confindustria?

Dalle informazioni a mia disposizione, la provenienza della norma non è stata il ministero del Welfare, ma quello dello Sviluppo economico…

Crede che la mossa del governo, nella forma, sia legittima?



Dal punto di vista istituzionale sicuramente. È un governo nella pienezza dei suoi poteri che gode di un’ampia maggioranza parlamentare.

E dal punto di vista politico?

Ci possono essere delle questioni di opportunità, in tal senso. Ma dobbiamo ricordare che già nell’ultima manovra l’esecutivo ha varato una serie di misure estremamente dure e incisive sul piano sociale e lo ha fatto attraverso un decreto. Del resto, quello sull’articolo 18 è un provvedimento che fa parte del suo programma, coerentemente con quanto richiesto dalle istituzioni europee relativamente alla riforma del mercato del lavoro.



Ma così si scavalcano d’amblais i sindacati

Con loro è in corso una verifica. Il governo, tuttavia, già da tempo ha fatto sapere che ascolterà tutti, ma poi deciderà autonomamente.

Nel merito, cosa ne pensa del provvedimento?

Credo che sia una norma molto parziale, ma positiva. Sono convinto, infatti, che le imprese, in Italia, non crescano anche perché hanno paura di superare il limite dei quindici dipendenti.

Quali correzioni andrebbero fatte?

La norma, rispetto all’ambito sul quale intende incidere, va bene così. Ma riguarda un caso del tutto particolare, relativo alla fusione e all’aggregazione delle piccole imprese. Credo, invece, che sul fronte dell’articolo 18, considerato integralmente, andrebbe fatto di più.

 

Cosa?

 

Andrebbe salvaguardata  solamente la condizione della giusta causa. Il licenziamento per motivi economici, quindi, rientrerebbe nella disciplina dei licenziamenti collettivi che prevede un percorso negoziale. Si potrebbe stabilire, altresì, una sovra-liquidazione nel caso di licenziamenti economici laddove il lavoratore decidesse di non fare causa. 

 

E sul fronte delle tutele necessarie per controbilanciare il superamento dell’articolo 18?

 

Sarà necessario, contestualmente, dare forma a una serie di norme che consentano di affrontare il problema nella sua complessità. Attraverso la revisione delle norme sulle assunzioni e sui licenziamenti, politiche attive del lavoro, servizi dell’impiego più efficienti, e maggior tutela della disoccupazione

 

Tornando alla norma contenuta in bozza: non crede che, così com’è formulata, creerebbe nel tempo discrepanze inaccettabili? Ovvero: aziende con più di 15 dipendenti e meno di 50 per le quali non è prevista l’applicazione delle tutele dell’articolo 18; e aziende che fanno parte del regime precedente alla norma, per le quali sono previste. Se lo scopo è quello di facilitare la crescita delle imprese, non sarebbe meglio che la norma avesse valore solo per un certo numero di anni successivi alle aggregazioni?

 

Effettivamente, è così. A questo punto, la soluzione migliore, sarebbe la proposta di legge firmata da Marco Beltrandi e appoggiata dal sottoscritto. È intitolata “Disposizioni per la sperimentazione triennale in deroga alle norme sulla reintegrazione nel posto di lavoro” e prevede di innalzare a 30 il numero di dipendenti oltre il quale scatta il divieto di licenziamento per giusta causa o giustificato motivo. Si tratterebbe di una sperimentazione della durata di tre anni e si riferirebbe a tutte le aziende.  

 

Cosa ne sarà del provvedimento del governo?

Non credo che vedrà mai la luce del Sole. Sa, l’articolo 18 è considerato un dogma di una specie di religione laica. E, non appena i sindacati si renderanno conto di quello che è successo, ci sarà un putiferio tale che sarà ritirato.

 

Cosa ne pensa il suo partito di tutta la vicenda?

 

In generale, su questioni di questo genere, si ha l’impressione che se ne stiano occupando soltanto il Pd e il governo. Il Pd, d’altro canto, al suo interno è fortemente diviso sulla materia. E, la posizione espressa ufficialmente da Sacconi, in sostanza, è: “Si tratta di una gatta che il Pd si deve pelare da solo. Restiamo a guardare alla finestra, e vediamo che succede.

 

Lei è d’accordo?

Secondo me, il Pdl dovrebbe mettere a punto un’iniziativa coerente con quanto scritto dal governo Berlusconi nella lettera di intenti del 26 ottobre, in cui ci si proponeva di rivedere la normativa relativa ai licenziamenti per motivi economici. 

 

(Paolo Nessi)