IDEE/ Una “rivoluzione inglese” per la Pa italiana

- Nicolò Boggian

Secondo NICOLO’ BOGGIAN, occorre che all’interno delle pubbliche amministrazioni, decisamente in deficit di produttività, si inizi e distinguere chi fa bene da chi fa male

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In che modo i talenti, gli immigrati e i dirigenti del Governo inglese potrebbero aiutarci a migliorare la Pubblica amministrazione italiana? La materia pubblica è certo complessa e intricata, le varie articolazioni dello Stato sono molto diverse tra loro e con gradi di maturazione, impegno e serietà altrettanto distanti. E ancora, la densità di formalismi, burocrazie e regolamentazioni ostacolano i desideri e le possibilità reali di cambiamento. La capacità di attrarre talenti, valorizzare le diversità, premiare il merito e “punire” chi ha accumulato privilegi o semplici diritti in modo ingiusto sono però le basi di una società più giusta, felice ed efficiente.

Peccato che le ambizioni a un cambiamento radicalmente intelligente di Istituzioni, regole e dell’intera cultura del lavoro siano sommerse da una retorica assistenzialista e da una cultura ormai stantia che tutela i bisogni e i diritti a ogni costo. Senza una valorizzazione del merito, l’Italia sta piombando in fondo a tutte le classifiche internazionali in termini di ricchezza, uguaglianza ed equità.

Il problema del personale pubblico richiama l’annosa questione previdenziale. Mentre il Paese invecchia sempre di più, l’utilizzo spregiudicato del sistema retributivo e delle “baby pensioni” ha portato il sistema a essere completamente fuori controllo, minacciandone la stessa sostenibilità. Un’evoluzione prevedibile, resa nota nei primi studi già all’inizio degli anni ‘90, che si è trascinata per quasi vent’anni, prima che il problema venisse anche solo affrontato. Un continuo e assurdo rinvio della questione al punto da raggiungere una delle età più alte di uscita dal mercato del lavoro, che a sua volta crea un disagio ai giovani, posticipandone l’ingresso.

Nella Pubblica amministrazione succede la stessa cosa. Il personale ha una produttività bassissima – metà della Pa tedesca e il 50% in meno di quella francese! – e molti uffici hanno personale in eccesso e dirigenti sovra retribuiti. E’ un dato di fatto grave e più che noto, che non può essere attenuato dal fatto che ci siano anche casi di personale sottoretribuito e sottoqualificato.

Le possibilità e le tecniche per intervenire e risolvere la questione esistono e si basano anche su metodologie bottom-up (non solo top-down) facilmente applicabili. Ciò che manca è una giusta comprensione del problema, che ne faccia una priorità, evitando di perdere decenni di fronte auna questione che si aggrava sempre di più. Il trend che vede i vincoli della finanza pubblica diventare più forti è inevitabile destinato semmai a peggiorare: garantire gli stessi servizi, le politiche sociali, i trasporti e la sanità sarà sempre più difficile senza gli opportuni cambiamenti.

La scelta di non intervenire sulla “questione merito” corrisponde alla sparizione di questi servizi. Non ha senso dare tutta la colpa all’evasione fiscale, quando gli imprenditori italiani sono schiacciati da una pressione fiscale tra le più alte al mondo e da crediti che la stessa Pa non garantisce di pagare rapidamente. La Pubblica amministrazione non può più permettersi di restare immobile. Deve cambiare innanzitutto a partire dai sistemi che ne garantiscono l’accesso fino ad arrivare ai sistemi che stabiliscono premi e sanzioni all’interno.

Questo però non può succedere se non esiste una presa di coscienza da parte del cittadino. Come potrebbe un talento italiano, che si è trasferito per un periodo a Londra e desidera rientrare nel suo Paese, accedere a un’azienda pubblica con l’attuale sistema concorsuale? Forse potrebbe pensare di chiedere dei giorni di ferie per sottoporsi a una procedura interminabile, che non dà nessuna garanzia? Se è bravo, per definizione avrà certamente altre opportunità e non tornerà in Italia. Siamo noi a doverlo attrarre, non certo a scoraggiarlo ancor prima che possa pensare di prendere una decisione!

La Pubblica amministrazione deve sapere vedere il talento, riconoscere che non siamo tutti uguali e che è giusto incentivare un ottimo professionista a entrare nel settore pubblico, così come è giusto motivarlo a lavorare sempre meglio, come avviene nelle aziende private più evolute. Chi parla del tema dei talenti e si preoccupa per la famosa “fuga dei cervelli” non può non mettere in cima all’agenda una riforma della Pubblica amministrazione, che in Italia, oltre a essere un problema in sé, rischia di deformare pericolosamente anche il mercato del lavoro privato.

Non solo. Come si può avere il coraggio di definire “eque” le attuali procedure di selezione quando nessuna minoranza viene rappresentata? All’interno della Pubblica amministrazione non si vedono manager, né impiegati di provenienza straniera. Per quale motivo? Non ci sono forse talenti tra “i nuovi cittadini”? Solo delle procedure in grado di selezionare i meritevoli eviterebbero esiti così ingiusti, discriminatori e distruttivi per l’intero Paese. 

E ancora, come si possono difendere sistemi di valutazione delle prestazioni, che distribuiscano incentivi a pioggia, garantendo al 99% dei dipendenti un giudizio di massima performance? La capacità di distinguere tra chi fa bene il proprio mestiere e, di conseguenza, crea valore per i cittadini, è la base per l’esistenza stessa della Pubblica amministrazione. 

Infine, un richiamo al Governo inglese che misura l’eccellenza di un ufficiale pubblico in base alla qualità di “openness”: la capacità di essere aperto al dialogo e al contributo esterno. E’ questa caratteristica tenuta in qualche conto nella nostra Pa? 

Potrei andare avanti a fare tantissimi esempi di problemi e di cose da fare, ma probabilmente chi gode di questa situazione non ha interesse a menzionarli e tantomeno a risolverli. Fare demagogia è più comodo e illudere il cittadino che si possa continuare in questo modo è forse  la colpa più grave della nostra classe dirigenziale e politica.





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