RIFORMA PENSIONI/ Del Conte (Bocconi): la flessibilità non funzionerà, lo dicono i dati Inps
Con tre quarti dei pensionati che percepiscono meno di mille euro, MAURIZIO DEL CONTE si dice scettico riguardo l’introduzione di una flessibilità rispetto all’età di entrata in quiescenza

Nonostante la spesa pensionistica abbia raggiunto il 15,86% del Prodotto interno lordo, quasi la metà degli oltre 15 milioni di pensionati percepisce meno di 1.000 euro e circa un terzo tra i 500 e i 1.000 euro. Sono questi i dati che emergono dal rapporto annuale del nuovo Inps, il primo stilato dopo l’incorporazione di Inpdap ed Enpals. Il governo, intanto, ha rinviato a settembre tutti i lavori sulla futura riforma pensionistica, dal nodo legato agli esodati, generati dalla riforma Fornero, fino all’ipotesi di introduzione di un sistema di flessibilità che permetterebbe, tra penalizzazioni e incentivi, di andare in pensione tra i 62 e i 70 anni, con 35 anni di contributi. Insieme a Maurizio Del Conte, docente di Diritto del Lavoro presso l’Università Bocconi, abbiamo commentato le possibili mosse dell’esecutivo.
Professore, come giudica innanzitutto la scelta di rimandare ogni discussione a settembre?
Bisognerebbe prima capire che cosa il governo ha realmente intenzione di fare. In passato abbiamo visto che la fretta porta solamente a scelte errate, come avvenuto ad esempio con la Riforma Fornero, attraverso cui il precedente esecutivo non ha fatto altro che produrre una drastica riduzione della platea dei beneficiari. Eppure, in termini di risparmio, come ha fatto sapere di recente l’Inps, la spesa per le pensioni continua a salire. Sapevamo che da qui a settembre non sarebbe stato fatto molto, ma dopo l’estate dobbiamo necessariamente aspettarci idee molto più chiare a riguardo.
Su cosa in particolare?
Il nostro è un sistema pensionistico che ha alzato improvvisamente l’età pensionabile e che, d’altra parte, chiede un cuneo fiscale ai lavoratori che si aggira intorno a un terzo del salario percepito. Ci ritroviamo quindi con una fortissima incidenza della contribuzione, a fronte di pensioni che sono per i tre quarti sotto i mille euro. Se questo è il dato attuale, c’è chiaramente qualcosa che non va, ma credo che le maggiori responsabilità siano da ricercare in tutta quella parte di lavoro nero che ha in pancia il nostro Paese.
Crede potrà davvero funzionare l’introduzione di un sistema di flessibilità con penalizzazioni e incentivi, con una forbice tra i 62 e i 70 anni per l’ingresso in quiescenza?
Francamente ho qualche dubbio. Come dicevo, se avessimo delle pensioni molto elevate potremmo anche immaginare un certo interesse, almeno per alcuni, ad andare in pensione prima e a perdere una piccola parte di trattamento pensionistico. Ma quando ci sono tre quarti di pensionati che percepiscono meno di mille euro al mese, non c’è affatto margine per avere un vero incentivo. Ho quindi paura che tutta la manovra, se impostata in questi termini, non produrrà effetti.
La riforma Fornero ha creato i cosiddetti “esodati”. In che modo sarà possibile risolvere questo nodo?
La questione degli esodati sta diventando ormai quasi cronica. Sembrava che ci fosse, sia dal precedente che dall’attuale governo, un concreto impegno a trovare le risorse necessarie e questi soldi sono stati parzialmente erogati, ma la platea degli “scoperti” è ancora molto numerosa. Una situazione del genere non è più sopportabile, quindi spero si possa arrivare presto a una soluzione definitiva.
Per queste misure serviranno anche delle coperture finanziarie. Secondo lei, dove andranno ricercate?
Il problema non può essere risolto aumentando la contribuzione. Se questo verrà fatto, soprattutto in un Paese in cui il cuneo fiscale è così elevato, si produrranno solamente effetti depressivi sull’occupazione e quindi anche sulle entrate previdenziali. A mio giudizio si può invece far leva su una seria revisione di tutte le pensioni, in particolare quelle di invalidità o comunque non strettamente legate alla contribuzione, che ancora oggi drenano molta parte delle risorse dell’Inps. Per risolvere il problema dal punto di vista strutturale, però, è necessario trovare un’idea che abbia una visione più lunga.
Ad esempio?
Sono un forte sostenitore del fatto che, se il cuneo fiscale verrà ridotto, paradossalmente si aumenta la base imponibile più che proporzionalmente. In altre parole, se noi rendiamo meno gravoso il lavoro “alla luce del sole”, quindi con una contribuzione regolare, potremo recuperare una larga fetta di lavoro sommerso che al momento pesa enormemente sulla tassazione generale e il sistema delle pensioni. Questo è un nodo che va assolutamente risolto, ma non solo attraverso un sistema puramente repressivo, ma con un riequilibrio dei costi-benefici per le imprese tra un lavoratore in regola e uno invece non in regola.
(Claudio Perlini)
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