Dopo il sì della Camera, si va consolidando l’impianto normativo del Jobs Act attraverso le ultime fasi previste dall’iter parlamentare. Tuttavia la partita resta ancora tutta da giocare, fermo restando che buona parte dell’operatività della legge resta ancorata ai successivi decreti attuativi, specie per ciò che riguarda la flessibilità in uscita e la riformulazione dell’articolo 18. È infatti noto che le misure assunte volte a limitare le incertezze interpretative, specie per ciò che riguarda i licenziamenti disciplinari, restano ancora da dettagliare nel primo decreto.
Infatti, sarà stabilita la possibilità di reintegro anche nelle ipotesi di licenziamento per motivi disciplinari, ma solo limitando tale sanzione ad alcune fattispecie, per ridurre al minimo la discrezionalità dei giudici. Andando oltre alla previsione teorica, circa la minore possibilità dei Tribunali di intervenire a disegnare le ipotesi di reintegra, bisognerà fare i conti con la realtà. Più precisamente, sembra che il quadro di riferimento entro il quale prevedere la reintegra sia riconducibile all’ipotesi di “mancata prova materiale” del fatto contestato, di recente elaborazione da parte della Corte di Cassazione. Ebbene, tale previsione legislativa non potrà comunque sottrarre al Giudice la propria autonomia nel determinare l’accertamento o meno della mancata prova materiale del fatto e, dunque, il suo convincimento circa la sussistenza dei presupposti che possono dare luogo alla reintegra.
A oggi, come dimostrato, l’attenzione del Jobs Act è ancora spesso catalizzata al solo tema delle modifiche dell’articolo 18 e ai conseguenti tecnicismi, rischiando di perdere di vista la vera finalità della riforma: tradurre le nuove regole in una vera leva di competitività del nostro sistema economico. Ebbene, in questa fase legislativa, vi è ancora l’occasione per sollecitare alcuni correttivi, in grado di colmare alcuni vuoti normativi, e al contempo fornire strumenti di crescita per le aziende, specie per tutte le piccole e medie imprese che costituiscono il principale tessuto imprenditoriale italiano.
Pertanto, un segnale in tal senso potrebbe essere dato attraverso l’innalzamento della soglia dei lavoratori dipendenti da 15 a 30, oltre la quale non sarebbe applicabile la tutela reintegratoria prevista dal nuovo articolo 18 in caso di licenziamento ma solo un indennizzo economico. Si pensi, ad esempio, alle difficoltà interpretative in merito alla scelta delle regole da applicarsi a un’impresa di 15 dipendenti che, successivamente all’assunzione di un nuovo lavoratore, magari con un contratto a tutele crescenti, debba poi procedere a un licenziamento.
Di fronte a tali dubbi, probabilmente l’azienda deciderà di non rischiare e mantenere il numero di dipendenti a 15 e, dunque, rinunciando a un’opportunità di crescita e di competitività. Portare la soglia dei lavoratori a 30 consentirebbe di creare i presupposti per sviluppare il mercato del lavoro, tutelando sia gli interessi di chi, come il lavoratore, ambisce a una maggiore stabilità, e sia l’impresa, specie quella meno complessa e strutturata, la quale deve poter operare entro limiti di rischio certi e prevedibili.