Sempre più spesso parlando di sindacato e di rappresentanze dei lavoratori affiora un che di nostalgia. Nostalgia per la stagione di ricerca dell’unità sindacale e per un sindacato (quello confederale) capace di interpretare l’interesse generale e non solo i propri rappresentati. Il sentimentalismo va rispettato, ma spesso nasconde agli occhi di troppi commentatori il fatto che quella stagione non è più riproponibile. Ciò per almeno due ragioni, una specifica e una di carattere generale.
Nello specifico c’è che il sindacato non è più voce generale del lavoro dipendente e proprio l’impegno a recuperare un ruolo generale ha aperto filoni di contrattazione che impongono di cambiare cultura, rappresentanze, organizzazione e piattaforme contrattuali. Più in generale poi è conclusa la fase della concertazione fra rappresentanze come la sede dove potevano essere prese le decisioni con un impatto sull’economia e che sostituivano, grazie a una sorta di rappresentanza di tutti gli interessi in campo, le decisioni delle sedi elettive.
La vicenda di Fiat prima e la chiusura dei riti concertativi avviata dal governo Monti e ripresa da Renzi poi hanno sancito una svolta che impone la ricerca di forme nuove nelle rappresentanze sindacali. La vicenda Fiat, non dimentichiamolo, ha sancito insieme la rottura dell’obbligo dell’umanismo delle rappresentanze aziendali riportando al centro la capacità di arrivare a contratti capaci di saldare occupazione e produttività con rappresentanza a chi firma i contratti e relegando a parte le rappresentanze non contrattuali. Ma quella svolta ha portato Fiat a tensioni con la Cgil e anche ad abbandonare Confindustria. Da qui il segnale che vi è un problema delle rappresentanze sindacali più generale su cui varrà la pena di tornare per individuare le nuove forme di tutela dei lavoratori ma anche sostenere realmente contratti di promozione di lavoro, salari e produttività.
Prendendo per ora in considerazione i sindacati dei lavoratori, questi appaiono come in una fase di continui strappi rispetto alla nostalgica fase precedente ma senza che appaia ancora un sicuro l’approdo. Sono soprattutto le grandi questioni nazionali aperte, Alitalia come la riforma della Pubblica amministrazione, che fanno emergere una lontananza fra decisioni sindacali e sentimento diffuso fra i cittadini.
Le grandi questioni nazionali sono indicative perché riguardano settori in cui il conflitto non concerne solo il rapporto fra lavoratori e datori di lavoro ma coinvolge i cittadini in quanto utilizzatori dei servizi. Da qui la percezione di una impasse in cui oggi la politica ha buon gioco nel prendere le distanze dal sindacato che sempre più spesso appare come l’oppositore a forme di modernizzazione dei mercati, come difensore di forme protezionistiche e corporative che hanno come risultato di fornire ai cittadini servizi costosi e spesso inefficienti.
Certo, il sindacato può rispondere che deve badare solo agli interessi dei propri rappresentati, ma è anche palese la posizione diversa che emerge fra i sindacati confederali con la Cisl, sempre più impegnata a differenziarsi da posizioni conservatrici. È evidente che la Cisl con più convinzione delle altre organizzazioni ha colto come la contraddizione aperta fra interessi dei rappresentati ed efficienza dei servizi pone una sfida nuova, apre a piattaforme di sostegno per l’opportunità di tutti e impone di rompere sacche di interessi corporativi che pesano sull’efficienza generale del sistema Italia. La trattativa Alitalia è da questo punto di vista una cartina di tornasole. Se le rigidità di piccoli gruppi professionali faranno saltare la possibilità di una ricostruzione del capitale societario avremo un depauperamento del sistema di trasporto nazionale e perderemo l’occasione per un ammodernamento contrattato del mercato.
Per la riforma della Pa. la situazione rischia di essere ancora peggiore. Si cerca già in sede legislativa di lasciare in essere vincoli alla mobilità di sede e di mansione che ingegnerebbero completamente il disegno di riforma per una Pa efficiente. Qui sposare l’obiettivo di una nuova produttività dei servizi per seguire la riforma delle istituzioni è indispensabile e la tensione con i cittadini rischia di diventare una reale spaccatura verso il valore delle rappresentanze sindacali.
D’altro canto segnali di tendenze opposte esistono. Ho partecipato a un seminario sul mercato del lavoro di un gruppo di giovani sindacalisti Cisl di Lombardia e Canton Ticino. Il tema al centro della discussione erano i nuovi servizi al lavoro e la formazione sia professionale che a sostegno dell’occupabilità dei lavoratori nell’arco di tutta la vita lavorativa. Molti intervenuti, partendo dalla necessità di valorizzare l’aumento delle tutele e delle opportunità per tutti, si sono posti il problema di come inserire questi obiettivi anche in piattaforme aziendali. Da qui esempi di contrattazione aziendale per favorire l’inserimento di giovani apprendisti o come contrattare formazione continua nel welfare aziendale aperto al territorio.
Sono segnali in controtendenza con quanto appare nazionalmente che indicano come, se compreso, è ancora possibile un ruolo per un sindacato che sappia coniugare tutele del lavoro e bene comune.