Il decreto Madia è finalmente legge dopo un iter parlamentare alquanto travagliato che ha richiesto un estensivo utilizzo della fiducia. Ancora una volta, tuttavia, la sensazione a caldo è che la riforma sia tale più sulla carta che nella sostanza. Non va dimenticato, infatti, che quello del governo Renzi è l’ultimo di una sequela di interventi sulla Pa, che hanno preso avvio anni fa e che non hanno portato a risultati apprezzabili. L’impressione che sia sprecata un’occasione è ancora più netta se si guarda al contesto internazionale in cui vede la luce la riforma.
Il cambio di rotta, non solo in tema di amministrazione pubblica, è auspicato da più parti e il Presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, ha ribadito giovedì che il decremento del Pil (-0,2% nell’ultimo trimestre) è sostanzialmente dovuto agli insufficienti investimenti privati, che possono essere stimolati solo attraverso una fiscalità più favorevole e delle riforme non solo formali. Non si può riformare alcunché senza che vi sia una copertura ed ecco che nel testo definitivo il decreto Madia accantona la “quota 96” sul pensionamento nella scuola, per cui tramonta il 31 agosto come possibile data per la pensione di 4.000 insegnanti. Renzi tuttavia promette di riparlarne dopo lo stop estivo.
Non si comprende allora l’intervento di segno opposto in tema di dirigenza pubblica che attua un possibile prepensionamento, in anticipo di 4 anni rispetto al limite dei 66 anni, escludendo però, e questa è una novità dell’ultima fase dell’iter parlamentare, magistrati, professori universitari e primari. Evidentemente categorie così “arroccate” nelle rispettive posizioni da essere intoccabili.
Sempre in tema di dirigenza pubblica, del tutto discutibile è la norma che consente agli enti locali l’assunzione per contratto a termine, quindi senza passare attraverso un regolare concorso, dei dirigenti, con un margine di discrezionalità più ampio, che passa dal 10% al 30% dei posti della pianta organica. È poi previsto che per gli enti “virtuosi”, ossia quelli che agiscono nel rispetto dei limiti di spesa, non si applichi alcuna limitazione. Se dunque è la meritocrazia a guidare la mano del legislatore non si comprende perché innalzare per tutti gli enti, anche quelli lungi dall’essere virtuosi, la possibilità di assunzione per contratto a tempo determinato dei dirigenti. Ciò anche in considerazione che l’assunzione diretta senza concorso si presta, nel settore pubblico, ad abusi che è facile immaginare.
Permangono poi le perplessità sulla cancellazione dell’istituto del trattenimento in servizio, rimasto sostanzialmente intatto dal passaggio del decreto in Senato, che consentiva di allungare la permanenza in attività una volta raggiunta l’età pensionabile. I dubbi non si concentrano sull’intento del provvedimento, ossia quello di conseguire un incremento occupazionale, quanto sull’efficacia dello stesso che difficilmente garantirà i 15.000 posti promessi. Ciò anche tenuto conto delle innovazioni in materia di turnover che dovrebbero prevedere una maggiore flessibilità per il periodo dal 2014 al 2018, ma che non allargano di molto le maglie del filtro in entrata. Le amministrazioni potranno quindi assumere personale nel limite del 20% delle spese sostenute per quanti sono usciti nel 2014, poi negli anni la percentuale crescerà sino a raggiungere il 100% della spesa nel 2018. Anche in questo caso, quindi, l’efficacia occupazionale della norma è tutt’altro che chiara.
In tema di mobilità e cambio di mansioni anche in senso peggiorativo, si è già avuto modo di affermare come tali novità, sostanzialmente contrarie al principio di equivalenza dettato dall’art. 2013 c.c., saranno foriere di contenzioso, soprattutto in sede sindacale. L’unica novità consiste nell’escludere i lavoratori con figli di età inferiore a tre anni, ovvero quelli che godono delle tutele della Legge 104.
Per quanto infine attiene alla magistratura, i giudici che ricoprono incarichi in diretta collaborazione con la Pubblica amministrazione non avranno più diritto all’aspettativa ma dovranno andare fuori ruolo. Di buon senso il fatto che la nuova regola non sia applichi alle aspettative già in essere. Le sezioni distaccate dei Tribunali amministrativi regionali poi continueranno a esistere, tranne quelle di Latina, Parma e Pescara, e anche in questo caso il risparmio di costi propugnato dal governo sarà dunque lungi dall’essere reale.
Se si pensa dunque alla portata innovativa che avrebbe dovuto animare la riforma e agli ambiziosi traguardi dichiarati non si può che rimanere con l’amaro in bocca davanti a una rivoluzione che è tale solo a parole.