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Home » Lavoro » IDEE/ 2016, gli interventi per “licenziare” il Jobs Act

  • Lavoro

IDEE/ 2016, gli interventi per “licenziare” il Jobs Act

Gabriele Fava
Pubblicato 31 Dicembre 2015
Operai_Motore_GrandeR439

Infophoto

Il 2015 è stato l'anno del Jobs Act. Per GABRIELE FAVA occorre però fare di più per aiutare la ripresa dell'occupazione e aumentare la competitività delle imprese italiane

Nell’anno che ormai salutiamo si è tentato di riformare il mercato del lavoro attraverso il Jobs Act. Ma non è abbastanza. Ancora molto c’è da fare al fine di aumentare la flessibilità mantenendo, comunque, un sistema di protezione dei lavoratori (tra i quali rientra sicuramente la riforma del welfare), e di incentivare le assunzioni e, per conseguenza, ridurre progressivamente il tasso di disoccupazione oggi esistente in Italia, rilanciando – nel contempo – le imprese nei mercati globali.


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Si auspica l’adozione di un Testo unico del lavoro in grado di sfoltire le numerose leggi, decreti, circolari, interpelli che regolano la materia. La stratificazione normativa, infatti, non aiuta la comprensione legislativa, bloccando così sul nascere tutte le iniziative volte ad accrescere l’occupazione. Tutto ciò rende necessaria una revisione dell’intero impianto legislativo in materia di lavoro, affinché, attraverso una semplificazione e razionalizzazione delle leggi oggi esistenti, si costruisca un corpus normativo unitario, chiaro, preciso, coerente, facilmente accessibile a tutti gli interessati e, soprattutto, di facile interpretazione.


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Nel contempo è opportuno lavorare per una riforma del mercato del lavoro Ue che riduca il divario delle prospettive occupazionali a livello europeo e preveda, attraverso politiche attive e misure mirate, la crescita dell’occupazione e una maggiore e flessibile mobilità del lavoro con l’obiettivo di aumentare anche la produttività delle imprese.

Sicuramente da migliorare anche il sistema di flex-security ipotizzando una maggiore libertà nel prevedere clausole nei contratti di lavoro, che entro determinati limiti stabiliti dalla legge consenta al datore di lavoro di mutare unilateralmente l’orario di lavoro, le mansioni, la retribuzione, ecc. La clausola di flessicurezza avrebbe come scambio l’assunzione a tempo indeterminato. La clausola di flessicurezza può essere utilizzata solo in presenza di specifiche esigenze produttive, organizzative e/o tecniche da comunicarsi al lavoratore.


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Sempre in tema di flessibilità in ingresso bisognerebbe cercare di favorire forme di assunzioni particolarmente “agili” per le aziende (soprattutto Pmi) che procedano alla stipula di contratti di lavoro con prestatori “over 50”. Al fine di garantire una maggiore facilità di reperimento dell’occupazione, si necessita l’introduzione di “clausole di flessicurezza” che attribuiscano al datore di lavoro la facoltà (regolamentata) di introdurre deroghe e flessibilità specifiche sul e durante il rapporto di lavoro. 

Altro obbiettivo da raggiungere è sviluppare il cosiddetto smart working, cioè la modalità di lavoro innovativa basata su un forte elemento di flessibilità, in modo particolare di orari e di sede. Il futuro dell’organizzazione del lavoro passa necessariamente dall’incontro del mondo del lavoro con le nuove tecnologie. Tale forma di lavoro flessibile dovrà essere disciplinata e regolamenta in maniera compiuta in modo da contemperare le esigenze delle garanzie dei lavoratori con quelle dello sviluppo tecnologico che consente modalità particolari di svolgimento della prestazione lavorativa che potranno sostituire e affiancare quelle tradizionali.

Particolare attenzione dovrà porsi su disposizioni dirette a incentivare maggiormente il welfare aziendale, attraverso la previsione di normative che possano garantire alle aziende delle agevolazioni fiscali e contributive per l’utilizzo dell’insieme di benefit e servizi forniti dall’azienda ai propri dipendenti al fine di migliorare la vita privata e lavorativa.

Sempre nell’ottica di intervenire in ambito europeo, sono auspicati interventi per promuovere, come raccomandato dalla programmazione comunitaria, forme di collegamento tra i processi di assunzione dei giovani e il sostegno all’invecchiamento attivo, sviluppando strumenti di sostegno – il cosiddetto “ponte generazionale” – che prevedano, a fronte dell’assunzione di giovani, incentivazioni a beneficio dei lavoratori anziani della medesima azienda. 

Interventi diretti alla gestione delle crisi occupazionali e/o aziendali (ad esempio, accordi per la costituzione di banca delle ore anche “negative” per evitare il ricorso a strumenti invasivi come gli ammortizzatori sociali, anche in deroga o i licenziamenti collettivi). Razionalizzazione dell’utilizzo di questi strumenti da parte delle aziende per le effettive necessità anti-cicliche, sulla linea dei criteri che dovranno essere definiti. Rafforzamento di una sinergia fra erogazione dei sussidi e partecipazione attiva alle politiche attive da parte dei lavoratori beneficiari. Tali interventi dovranno anche promuovere, a livello comunitario, l’introduzione di un sussidio europeo per far fronte alla gestione di crisi e alla disoccupazione.

Tutti gli interventi auspicati sono mirati a favorire la crescita dell’occupazione anche a livello europeo e nello stesso tempo ad aumentare la produttività delle imprese con riduzione del costo del lavoro.


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