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Home » Lavoro » SPILLO/ Quei precari che mettono in imbarazzo il Pd

  • Lavoro

SPILLO/ Quei precari che mettono in imbarazzo il Pd

Giancamillo Palmerini
Pubblicato 15 Febbraio 2017
Poletti_MogioR439

Giuliano Poletti (Lapresse)

<!-- p.p1 {margin: 0.0px 0.0px 8.0px 0.0px; text-align: justify; font: 12.0px 'Times New Roman'; -webkit-text-stroke: #000000} span.s1 {font-kerning: none} --> Il Jobs Act ha inserito un nuovo ammortizzatore sociale per i collaboratori, la Dis-coll. Tuttavia, dice GIANCAMILLO PALMERINI, su questo tema il Pd rischia di non fare bella figura

Una delle principali novità del Jobs Act è (o forse è più corretto dire era?) la Dis-coll, ossia la nuova indennità di disoccupazione riservata ai lavoratori con rapporto di collaborazione coordinata e continuativa (e residualmente a progetto) iscritti alla gestione separata Inps. Tale indennità è, infatti, spettata ai collaboratori, per la prima volta e in via sperimentale, a tutela degli eventi di disoccupazione verificatisi nel 2015.


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Hanno potuto, quindi, godere di tale misura di sostegno al reddito quei collaboratori che, in seguito alla perdita involontaria della propria occupazione, potevano far valere, sommando i contributi versati nell’anno precedente e quelli versati nel 2015 sino al verificarsi dell’evento di disoccupazione, un periodo complessivo di almeno 4 mesi di contributi.


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Nello specifico il collaboratore doveva essere, prima di tutto, in stato di disoccupazione, e aver sottoscritto la cosiddetta Dichiarazione immediata disponibilità al lavoro (comunemente chiamata Did). Doveva, quindi, aver versato almeno 3 mesi di contributi Inps a partire dal gennaio dell’anno solare precedente il licenziamento e almeno un mese di contributi nell’anno solare in cui si era verificata la cessazione del rapporto di lavoro di collaborazione (in quel caso il 2015).

Tuttavia era emersa, a suo tempo, una criticità nella scrittura, e interpretazione, della norma con specifico riferimento ai lavoratori cessati a gennaio che non potevano, ovviamente, portare in dote il mese di contribuzione nell’anno solare previsto allora dal D.lgs. 22/2015. Nel 2016, alla fine di un tribolato iter, è così arrivata la proroga della misura che è stata, quindi, riconosciuta anche relativamente agli eventi di disoccupazione verificatesi lo scorso anno, nel limite di 54 milioni di euro, e prevedendo un plafond di 24 milioni di euro nel 2017. Contestualmente si è andati anche a modificare la normativa di riferimento derogando, solo per il 2016, al requisito del mese di contributi nell’anno solare in cui si richiede la misura.


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Il 2017 non è iniziato in maniera migliore per questa nuova tutela immaginata dalla riforma renziana e, soprattutto, per i lavoratori potenzialmente beneficiari della stessa, stimati in circa 300 mila unità, di cui almeno 40 mila “alle dipendenze” delle pubbliche amministrazioni. Dopo l’annuncio degli scorsi giorni dell’Inps che comunicava che non sarebbe più stato possibile procedere alla presentazione delle domande di indennità Dis-Coll per le cessazioni involontarie dei contratti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, verificatesi dal 1°gennaio 2017, il Governo, e in particolare il ministero del Lavoro, è, quindi, dovuto intervenire.


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Si è così precisato come si stia operando per scrivere una disposizione, da inserire nel decreto milleproroghe, che garantisca la continuità dell’erogazione della Dis-Coll per il 2017, e, allo stesso tempo, alla definizione di una specifica previsione “strutturale” da definire all’interno della legge delega sul lavoro autonomo non imprenditoriale attualmente all’esame della Camera. Emerge, insomma, l’ennesimo elemento di criticità di una riforma pasticciata che, probabilmente, già necessiterebbe di un primo organico aggiornamento.

Colpisce, poi, come nei giorni scorsi la politica si sia divisa, in maniera un po’ surreale, non su come trovare le risorse per queste misure di tutela per i lavoratori “precari”, o comunque più deboli nel mercato, ma sul finanziamento di tornei di golf. La cosa è ancor più strana se si pensa che il principale partito di maggioranza, ma anche, in questo strano Paese chiamato Italia, di opposizione, dovrebbe essere l’erede del “fu” partito dei lavoratori.


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Anche sul perché di scelte come queste, probabilmente, si dovrebbe parlare e discutere, se necessario animatamente, durante il percorso congressuale (appena avviatosi) del Partito democratico. Su come si pone su temi come questi che interessano, in particolare, i lavoratori “precari”, o comunque più deboli nel mercato del lavoro, si misura, infatti, il tasso di autentico riformismo della principale forza del socialismo “europeo” in Italia.

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  • Tags: Pd

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