Con l’entrata in vigore del Jobs Act si è approvato un sistema di servizi al lavoro che cerca di allineare l’Italia al modello di politiche attive che risulta vincente in tutti i paesi europei. Come noto, prima della nuova legislazione, la spesa a sostegno della disoccupazione, e di chi perdeva l’occupazione per crisi aziendale, era esclusivamente un sostegno al reddito. Con il nuovo schema si saldano assieme due aspetti: rimane il sostegno al reddito, ma è accompagnato da un insieme di servizi per favorire, il più velocemente possibile, il reinserimento lavorativo dei disoccupati.
Questi nuovi servizi, dalla profilazione e valutazione delle competenze individuali all’orientamento ed eventuale formazione necessaria per aumentare l’occupabilità della persona fino all’accompagnamento per il reinserimento lavorativo, sono assicurati da una rete di operatori pubblici e privati che devono farsi carico del buon fine del percorso di inserimento personalizzato che è stato definito.
Nello schema italiano di servizi e misure che devono seguire la presa in carico della persona si sono definiti i ruoli per gli operatori pubblici e privati. La parte “amministrativa” tocca a i Centri per l’impiego pubblici. Qui le persone in cerca di lavoro vedono certificato lo stato di disoccupazione e dichiarano la propria disponibilità a sottoscrivere un vero e proprio contratto, per cui in cambio del sostegno al reddito e all’erogazione delle misure di sostegno e formative migliori sono disponibili ad accettare le proposte lavorative che saranno avanzate nei loro confronti.
Dopo questa fase è prevista quindi una valutazione delle competenze individuali, formali e non, che permettono di valutare il “tasso di svantaggio” che ciascuno ha rispetto alle possibilità di trovare una domanda di lavoro corrispondente ai suoi talenti. Sulla base di questa valutazione sono stanziati voucher, di valore inversamente proporzionale alle competenze riconosciute (di più a chi ha meno), che la persona può utilizzare presso agenzie per il lavoro, pubbliche (lo stesso Centro per l’impiego) o private (Agenzie del lavoro autorizzate nazionalmente o accreditate nel territorio regionale), da cui ottenere quelle misure formative che portino le sue competenze a corrispondere a una domanda di lavoro e trovare così una nuova occupazione.
Per realizzare questa rete di servizi e operatori si è data vita a una Agenzia nazionale per il lavoro (Anpal) che deve organizzare e coordinare il sistema in accordo con le regioni. Dopo più di un anno di “rodaggio” si è finalmente arrivati all’avvio della sperimentazione che è indispensabile per “testare” il sistema (organizzativo ma anche informatico di supporto) che permetta di passare all’erogazione di servizi universali. La sperimentazione riguarda 35.000 disoccupati che godono di sostegno al reddito, estratti dalle liste nazionali. Verificato che non siano persone già impegnate in percorsi di ricollocazione regionali saranno presi in carico dai Centri per l’impiego e, dopo la fase di valutazione individuale, potranno usufruire delle misure a sostegno della ricollocazione rivolgendosi ad agenzie pubbliche o private.
I servizi sono ovviamente iniziative che trovano copertura economica nel finanziamento diretto dello Stato (o Stato più regioni per la rete pubblica) e in genere con fondi europei per le misure di accompagnamento. La prima parte dei servizi di presa in carico e profilazione (la parte “amministrativa” dei Cpi) è ovviamente coperta da fondi pubblici. La seconda parte, le misure personalizzate, erogate degli stessi Cpi o da agenzie private, è pagata se il percorso si conclude positivamente. Quindi, il riconoscimento economico vi è se vi è reinserimento occupazionale e la cifra è quella modulata sulla base delle valutazioni dell’individuo operato dall’avvio del processo. Il riconoscimento economico è quindi operativo solo a conclusione del percorso e la “premialità” finale dovrebbe coprire tutti i costi supportati durante il processo di erogazione dei servizi.
Dopo un lungo dibattito preparatorio, in queste “regolette” finali, rischia di introdursi un “veleno” che può inficiare la sperimentazione stessa. Si sono introdotte due forche caudine che rischiano di tenere fuori dall’iniziativa gli operatori privati, ma anche quegli operatori pubblici che sono già attrezzati per stare sul mercato dei servizi al lavoro. Le due questioni riguardano, da un lato, l’assenza di riconoscimento dei costi sopportati durante il processo di erogazione dei servizi per i casi che non si concludono positivamente; da un altro, il fatto che il riconoscimento dei pagamenti, per i casi di successo, può essere richiesto dopo aver superato un indicatore di successo che indica la media territoriale e non il rating del singolo operatore. Nel primo caso, l’assenza di un riconoscimento, anche minimo, per i costi di processo risulta contradditorio con provvedimenti regionali già in atto. L’effetto sarebbe che gli operatori preferiranno non aderire alla sperimentazione e continuare a erogare le misure previste territorialmente. Nel secondo caso, si opera una valutazione che creerebbe problemi finanziari agli operatori minori e limiterebbe la partecipazione di soggetti alla rete dei servizi.
Le sperimentazioni servono per attirare più soggetti possibili nella rete dei partecipanti. Mi auguro che sia possibile in tempi rapidi correggere tali eccessi di zelo inseriti nelle regole della sperimentazione avviata, affinché sia la più ampia possibile e permetta anche a operatori piccoli ma localmente efficienti di essere pienamente coinvolti. La politica deve esprimersi per allargare il mercato degli operatori e riflettere su come interventi burocratici attuativi portano spesso ad annullare, nella pratica, i risultati di riforme importanti.