Siamo in piena pausa estiva. Quale situazione del mercato del lavoro abbiamo e con quali obiettivi e speranze rientreremo dal meritato periodo feriale? Partiamo dai dati positivi. I posti di lavoro sono aumentati: 800.000 in più. Al dato assoluto va abbinato il fatto che da oltre tre trimestri la crescita è confermata dall’andamento occupati. La ripresa del Pil è il fattore determinante. Se si dovesse confermare che l’incremento del Pil anticipa di almeno un semestre gli effetti sull’andamento dell’occupazione, potremmo ritenere che anche nei prossimi mesi avremo una crescita dei posti di lavoro.
Questo risultato complessivo è dato da lavori stabili. Viste le forme contrattuali introdotte dal Jobs Act (contratti a tutele crescenti), la differenza fra tempo indeterminato e determinato diventa relativa solo per le fasi di ingresso. Lo stock dei contratti a tempo indeterminato è infatti cresciuto e non solo per l’effetto dei vantaggi contributivi che sono ormai esauriti. Le nuove regole introdotte per i lavori professionali e il lavoro agile hanno avviato sistemi di tutele anche per le quote di lavoro autonomo prestato presso le imprese. Sono diminuite nettamente le forme spurie di collaborazione ed è conseguentemente aumentato il lavoro dipendente.
Non è scomparso il precariato, né alcune forme di sfruttamento di lavoratori deboli. La rincorsa a tentare di normare ogni forma di lavoro senza pregiudizio ideologico ha subito uno stop dovuto alla gestione della vicenda voucher, oggi reintrodotti con nuovi limiti. C’è stato tuttavia un segnale che ha ridato fiato a quanti preferiscono norme legate al lavoro prettamente industriale invece di voler tutelare le nuove forme di lavoro introdotte dalle trasformazioni economiche, sociali e produttive in corso. L’effetto immediato della vicenda voucher è stata una crescita a due cifre della somministrazione. Le maggiori società in questo campo sono oggi i primi datori di lavoro italiani.
Restano, all’interno di questo mercato del lavoro in miglioramento, gli squilibri storici che caratterizzano il nostro Paese. In primis, resta pesante lo squilibrio territoriale. Gli effetti occupazionali della ripresa economica sono concentrati al nord. Nel mezzogiorno solo alcune aree interessate da nuove politiche industriali (si veda in questo senso quanto sta facendo la Regione Campania negli ultimi due anni) sono state al passo con le regioni del nord. Per il resto rimangono tassi di occupazione bassi e tassi di disoccupazione che segnalano forti problemi sociali. Politiche industriali nuove, investimenti infrastrutturali, vantaggi fiscali e contributivi legati a nuove assunzioni e una riforma che favorisca la disintermediazione della Pa restano i passaggi determinanti per avviare una nuova fase dello sviluppo nelle regioni meridionali.
Tali politiche avrebbero anche un ulteriore impatto generale per riportare al livello pre-crisi il tasso di occupazione complessivo e sostenere un nuovo incremento di quanti partecipano al mercato del lavoro. Contributo determinante per sostenere tutto il sistema di welfare legato alla contribuzione lavorativa.
Il quadro indicato per il mercato del lavoro in generale risulta ancora più marcato se riferito alla sola componente femminile. Il tasso di occupazione rimane ancora lontano dagli obiettivi europei che puntano a una significativa partecipazione femminile al mercato del lavoro. Inoltre gli squilibri nord-sud risultano ancora più accentuati con distanze di oltre 20 punti fra il tasso di occupazione femminile delle regioni del nord e la media registrata in quelle del sud.
Una situazione analoga risulta per quel che riguarda la disoccupazione giovanile. Anche se nell’ultima fase di crescita occupazionale si è registrato un andamento positivo per l’assunzione delle classi più giovani, resta per il nostro Paese il triste primato di essere negli ultimi posti nella classifica europea per quanto riguarda la capacità di creare lavoro per i giovani. Al sud la situazione è accentuata e ben vengano misure di politica del lavoro finalizzate a sostenere la decontribuzione per assunzioni di giovani con misure differenziate territorialmente.
I giovani sono stati oggetto di una delle prime politiche del lavoro avviate di comune accordo in tutti i paesi europei. L’esperienza di Garanzia Giovani ha segnato l’avvio di politiche comuni per l’occupazione. La declinazione delle forme di sostegno all’occupazione sono state poi decise dalle scelte attuative fatte da ogni singolo Paese (da noi poi anche da ogni regione), ma nell’ambito di un panel di scelte di misure di sostegno comune. L’esperienza, rinnovata di recente, è stata importante per la capacità di coinvolgimento che ha visto la partecipazione di centinaia di migliaia di giovani. Resta per il nostro Paese la sottolineatura che si è insistito troppo su inserimenti lavorativi tramite tirocini formativi e troppo poco attraverso percorsi di apprendistato che avrebbero dato maggiori esiti occupazionali stabili.
L’annotazione su Garanzia Giovani rimanda alla grande questione dei servizi al lavoro. Il Jobs Act indicava una nuova strada per sostenere chi è in cerca di occupazione. Si doveva passare da misure di sostegno passivo (cassa integrazione), che aiutavano chi un lavoro l’aveva già e rischiava di perderlo, a un nuovo modello di servizi di politiche attive, che si sarebbero prese in carico tutti coloro che erano in cerca di lavoro, perché disoccupati o perché occupati in settori industriali in ristrutturazione. La sperimentazione avviata con l’assegno di ricollocazione e l’avvio della rete di servizi al lavoro coordinati dalla nuova agenzia nazionale stentano a diventare un reale sistema nazionale.
Questa nuova rete di servizi al lavoro, insieme ad altre efficaci politiche avviate per l’apprendistato, devono diventare l’impegno principale dei prossimi mesi. I cambiamenti produttivi in corso stanno mutando le professionalità richieste. A fronte di una ripresa occupazionale non possiamo rischiare di avere posti di lavoro scoperti per assenza di competenze adeguate. Proprio in una fase di ripresa economica servono servizi per il lavoro e percorsi scuola-lavoro che facilitino l’incontro fra domanda e offerta.
Non impegnarsi su questo fronte e perdere tempo in polemiche che pensano si possa fermare il cambiamento in corso sarebbe un errore e un lusso che non possiamo permetterci.