L’approvazione della Legge di bilancio è ormai imminente. Il testo dovrà essere trasmesso all’Europa e alle Camere perché sia oggetto della discussione e, soprattutto, delle valutazioni relative al rispetto degli accordi europei che sono in vigore. Si è già visto in questi giorni, pur con riferimento a testi non ancora definitivi, che il giudizio europeo e dei mercati è alquanto perplesso. Tralasciamo pure, in questa sede, l’analisi formale del rispetto dei limiti previsti sul deficit. La sfida lanciata dal Governo giallo-verde si basa sull’idea che, pur in presenza di una crescita dell’indebitamento si otterrà una ripresa del Pil spinta dalla nuova spesa pubblica che determinerà un miglioramento complessivo dei saldi economici.
Il tema del moltiplicatore della spesa pubblica è ben presente nella letteratura economica. Dall’iniziale finanziamento per scavare buche e poi riempirle che avrebbe comunque determinato un aumento del reddito e quindi della domanda e così via, oggi è possibile testare quanto sia l’effetto moltiplicatore di misure di spesa in consumi, investimenti produttivi, infrastrutture o altro. La decisione del Governo destina l’80% delle risorse in deficit a due misure di spesa in redditi delle famiglie, prepensionamenti e reddito di cittadinanza, che avranno un impatto scarso o addirittura negativo nel medio periodo. Nel senso che, in assenza di una crescita stabile dal lato investimenti e di una ripresa della capacità competitiva dell’insieme della nostra economia, il sostegno ai consumi di fasce anziane e di esclusi dal mercato del lavoro può portare a un calo complessivo della domanda aggregata.
Dato che la frenata della ripresa economica è dovuta alla contrazione delle esportazioni, servirebbero misure a sostegno di investimenti e competitività della nostra industria per avere una crescita di Pil tale da sopportare nuove spese in redditi distribuiti. Il risultato è una perdita della disponibilità internazionale a finanziare il nostro debito. Ciò si tradurrà in un costo del deficit destinato a salire. Pur senza una grande manovra speculativa, la crescita dello spread porterà a un aumento di spesa per fare fronte al finanziamento del debito destinato a disoccupati e prepensionati. Costo aggiuntivo del denaro di cui la manovra ha volutamente tenuto conto solo in piccola parte.
La tesi propagandistica con cui si risponde alla razionalità dei numeri è che in questo modo otterremo una crescita occupazionale che contrasterà la caduta di reddito dovuta agli effetti finanziari. Qualcuno è arrivato a sostenere che, grazie all’effetto combinato del decreto dignità e dei ritiri per “Quota 100” delle pensioni, si otterranno oltre 500 mila nuovi posti di lavoro a tempo indeterminato.
Cerchiamo di vedere nell’andamento di questo periodo la veridicità di quanto viene affermato. Gli ultimi dati estivi confermano che le assunzioni a tempo indeterminato sono in numero assoluto maggiori del tempo determinato. Dato assoluto, ma in percentuale i tempi determinati crescono con un ritmo 5 volte superiore ai tempi indeterminati. Prima che la nuova legislazione giallo-verde produca gli effetti negativi sulla flessibilità indicati da tutte le associazioni, le imprese stanno rafforzando la propria pianta organica con tutte le flessibilità possibili.
Anche per quanto riguarda la disoccupazione abbiamo un dato in calo, ma che è accompagnato da un calo ancora maggiore del tasso di attività. Anche l’offerta di lavoro, in attesa di capire le nuove norme, si ritira dal mercato. Non si sa mai che si guadagni di più a non lavorare che accettando oggi contratti a termine. A oggi le assunzioni a termine sono state circa 300 mila al mese. Di queste 40 mila circa venivano stabilizzate. Quindi “l’effetto dignità” dovrebbe dare 260 mila nuovi posti mese potenziali. Per ora compaiono già le disdette per novembre e dicembre, mentre non sono note assunzioni significative già programmate.
Per quanto riguarda l’effetto pensioni possiamo cercare di fare una stima partendo dai dati attuali e sapendo che le imprese assumono solo se prevedono una crescita produttiva. Possiamo perciò ritenere che, se la crescita resterà all’1%, ci sarà poco spazio per nuova occupazione. Quindi se “Quota 100” dovesse determinare un flusso di uscita di un 10% superiore a quello dei pensionati dell’anno passato otterremmo che, a saldi di entrate e uscite invariati, ci saranno circa 10 mila assunti in più al mese essendo circa 100 mila gli assunti stabili. Pressoché nulla anche se fossero tutti a tempo indeterminato per effetto del Decreto dignità.
L’assenza di previsioni per un rilancio delle politiche attive del lavoro fa sì che i nodi presenti nell’offerta e nella domanda di lavoro non vengano nemmeno affrontati. Investimenti per la crescita di formazione specialistica per i giovani e per chi deve ricollocarsi restano fuori dagli impegni di spesa. Si riduce così il contributo del Def all’occupazione solo ai nuovi impiegati nei Centri per l’impiego. Molta spesa e poco lavoro. Sarà una manovra magra per chi punta al lavoro e allo sviluppo.