C’é stato un periodo, ad alcuni mesi dall’inizio della crisi economica, in cui era quasi diventato un ritornello il fare riferimento agli ideogrammi cinesi dove la parola crisi viene disegnata con due immagini, la prima che significa difficoltà, la seconda che significa opportunità. Era un modo per esorcizzare il crollo dei mercati finanziari e le crescenti difficoltà per l’occupazione, ma anche in fondo per far avanzare l’idea che la crisi avrebbe potuto risolversi quasi da sola per il prevalere delle forze positive dei mercati, una volta superata l’irrazionalità esuberante che aveva portato nelle sabbie mobili.
L’opportunità a cui si faceva infatti più spesso riferimento consisteva nel pensare che fosse sufficiente adottare regole più stringenti per i mercati finanziari (cosa che peraltro è stata fatta solo in piccola parte), frenare la spesa pubblica e aumentare le tasse per ridurre i debiti (con risultati che fino ad ora hanno aggravato la malattia), migliorare le capacità di intervento delle autorità finanziarie internazionali (e in questo caso i passi sono stati talmente piccoli da passare inosservati).
E’ invece rimasta sotto traccia – anche perché era terribilmente scomoda – la riflessione sul carattere antropologico della crisi, cioé sul fatto che più che parlare di fallimento del mercato o di incapacità dello Stato, sarebbe stato e continua ad essere necessario ricostruire l’economia sulla base di un rapporto corretto tra le finalità, le persone e gli strumenti. Con una inversione totale rispetto alla concezione corrente (e dominante) che vede al primo posto gli strumenti (cioè il denaro e il mercato), poi le persone e, se proprio avanza un po’ di spazio, anche i valori di fondo a cui dovrebbe tendere la vita sociale.
È allora fondamentale riflettere sulla possibilità di costruire un’economia che sappia mantenere al centro la persona e su questa base ricostruire nuovi equilibri fondati su quello che potremmo chiamare la crescita integrale e quindi non solo quantitativa. E’ il percorso che propone Stefano Zamagni in un agile libro, Per un’economia a misura di persona (Ed. Città Nuova, pagg. 90, euro 8,50), in cui si riprende con chiarezza anche il percorso dell’economia di comunione sostenuto con coraggio intellettuale ed iniziative concrete dal Movimento dei focolari.
Come sottolinea Luigino Bruni nell’introduzione, “fin dalla sua fondazione la scienza economica ha sofferto di una forte parsimonia antropologica per essersi fondata su di un’idea di agente economico (il cosiddetto homo economicus) riduzionista” e con queste premesse “la scienza economica vive l’esperienza di non avere più strumenti per leggere adeguatamente un mondo che cambia troppo rapidamente rispetto alla capacità di capirlo e magari di prevedere i comportamenti economici delle persone e delle istituzioni”.
A quattro anni dall’inizio della crisi vi è comunque una ragionevole certezza che dalle difficoltà non si potrà uscire nè aspettando l’evolversi di un automatico ciclo economico, nè confidando negli interventi risolutivi degli Stati da soli o liberamente organizzati, come, per esempio, nell’Unione europea.
Una pur graduale uscita dalla crisi non potrà prescindere da un elemento estremamente facile da indicare, ma estremamente complesso da mobilitare: quello della persona con cui costruire non solo valori, peraltro fondamentali, ma anche motivazioni e fiducia nella concretezza del presente. Questo vuol dire poter liberare quella capacità creativa che sola è in grado di costruire soluzioni nuove fuggendo dalla tentazione di applicare semplicemente vecchi schemi ideologici.