Siamo sommersi dai numeri, dalle statistiche, dalle previsioni. E ne faremmo volentieri a meno se quei numeri non riguardassero la disoccupazione, e quindi il dramma personale di milioni di persone, il crollo della domanda, e quindi le difficoltà economiche delle famiglie, la caduta della produzione, e quindi il fatto che si riesce a produrre meno ricchezza con un costo sociale che pesa solo su alcune fasce di popolazione.
Vorremo fare a meno dei numeri, poter sfuggire alla schiavitù delle statistiche; vorremmo poter considerare il denaro uno strumento utile, magari necessario, ma semplicemente uno strumento per facilitare gli scambi e aprire nuove opportunità; vorremmo poter misurare la crescita sociale non solo per la quantità di beni prodotti e scambiati, ma anche per i valori impagabili del bello, del giusto, del buono. Ma abbiamo visto il disastro di una finanza che ha cercato (e continua a cercare) di fare i soldi con i soldi, abbiamo toccato con mano l’incapacità della politica di anticipare con regole giuste le evoluzioni del mercato, abbiamo constatato amaramente come la crisi allarghi le disuguaglianze ed estenda la fascia della povertà.
Ma le innegabili difficoltà di oggi sono tanto più scandalose perché in questo periodo, come mai prima d’ora, l’umanità ha accumulato un insieme di conoscenze, di esperienza, di capacità, che permetterebbero di avviare a soluzione almeno gradualmente i grandi problemi sociali. Perché comunque si sono fatti grandi progressi. In una prospettiva storica l’oggi non ha paragoni con il passato: l’Europa di oggi ha fatto grandissimi passi avanti rispetto alle macerie e alle stragi delle dittature e della Seconda guerra mondiale.
Se questa è la realtà dobbiamo prendere atto del fatto che viviamo in un’epoca di grandi contraddizioni. Lo mette in rilievo con estrema chiarezza Lorenzo Caselli, docente di etica economica all’Università di Genova, nel libro “La vita buona nell’economia e nella società” (Ed. Lavoro, pagg. 240, € 15) dove sottolinea che “si è persa la memoria del passato e il domani genera angoscia”. E così le contraddizioni emergono sulla crescita su cui tutti sono d’accordo, ma intanto “le misure di austerità, l’ossessione dei riequilibri contabili, i tagli della spesa pubblica non solo vanno nella direzione opposta, ma rischiano di bruciare alla radice le possibilità stesse di ripresa”. E sulle “risorse umane”, giudicate teoricamente un fattore di competitività e di sviluppo, ma prime vittime di strategie aziendali che parlano solo di “licenziare, flessibilizzare, precarizzare”.
Le vie d’uscita non sono né facili, né immediate. Non ci sono scorciatoie, né ricette magiche. C’è da riprendere con pazienza e fiducia il filo d’Arianna delle cose reali, fare i conti con l’esigenza di rispettare i valori delle persone, ricostruire rapporti sociali che rispettino e valorizzino i talenti di ciascuno. E insieme superare gli schemi delle ideologie e la fiducia acritica verso le politiche economiche.
Il libro di Caselli aiuta la riflessione e mette a fuoco con chiarezza i problemi. Con un piccolo tallone d’Achille: si criticano i guasti del neoliberismo, e ce ne sono stati, ma non si pone altrettanta attenzione ai difetti ancora maggiori dello statalismo e della pianificazione economica. E dato che la società perfetta non esiste appare importante che la società possa garantire la libertà delle persone, possibilmente con la capacità di educare verso una libertà che guardi al bene comune con impegno e responsabilità.
Per questo l’economia di mercato ha tanti difetti, ha bisogno di regole capaci di garantire i diritti individuali collettivi, ma è infinitamente migliore di altri sistemi in cui una piccola oligarchia politica possiede gli strumenti e decide i fini della società. Ed è in questa prospettiva che l’appassionante analisi di Caselli appare meritoria: perché in ogni passo mette al centro la persona con i suoi sentimenti e le sue speranze, una persona che non ha solo degli interessi materiali, ma che sa recuperare la coscienza della solidarietà, della partecipazione, del benessere condiviso. Da questo possono nascere “nuove strutture, nuove istituzioni, nuovi assetti sociali”.