Che cosa tiene bloccata l’economia italiana? Un complotto dei grandi centri di potere finanziario, secondo una versione che accomuna incredibilmente autorevoli esponenti del centrodestra e improvvisati politicanti grillini. Oppure la volontà astratta e oppressiva di un’Europa che impone improvvide politiche di austerità all’inseguimento dei parametri di Maastricht. O ancora le tante riforme che l’insipienza della classe politica non ha saputo realizzare negli ultimi 25 anni.
Qualcosa di vero c’è in tutte queste versioni, accomunate dal pensiero secondo cui le colpe vanno sempre cercate all’esterno. Qualcosa di vero perché l’Italia è stata così poco capace di far valere la propria forza, i propri diritti, la propria solidità finanziaria di fronte alle grandi banche d’affari, così come di fronte ai burocrati di Bruxelles. Con una classe politica che ha saputo trovare solo nell’emergenza la forza di fare le riforme, come quella delle pensioni, altrettanto impopolari quanto necessarie.
Qualcosa di vero, ma la verità è un’altra cosa. La finanza ha tante colpe, ma non è uno strumento del diavolo. L’Europa ha compiuto tanti passi falsi, ma i benefici dell’unità restano sicuramente molto più ampi dei problemi aperti. E i Governi hanno tante responsabilità (ma non tutte le responsabilità) per aver sottovalutato i problemi e ricercato il consenso a breve termine più che le soluzioni dettate dalla necessità del cambiamento.
Allora val forse la pena di riscoprire l’importanza del vero punto su cui far leva per non considerare ineluttabile l’avvitarsi della crisi. Parliamo del “capitale sociale”, parliamo del richiamo oggi ancora più valido dell’enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI. Lo ricorda Flavio Felice, docente di economia all’Università Lateranense, nel suo ultimo libro “Istituzioni, persona e mercato” (Ed. Rubbettino, pagg. 210, euro 13): “La critica di Benedetto XVI ai sistemi economici – scrive Felice – non si comprende al di fuori del dato antropologico e dell’implicito rifiuto dell’assunto secondo il quale è necessario liberare l’uomo dall’idea di Dio perché l’uomo possa essere libero”.
E per affermare questa indicazione l’enciclica esprime un auspicio e una proposta concreta: “Che tutti, a partire dai governanti impegnati a dare un profilo rinnovato agli assetti economici e sociali del mondo, comprendano che il primo capitale da salvaguardare è l’uomo, la persona, nella sua integralità. L’uomo infatti è l’autore, il centro e il fine di tutta la vita economica e sociale”.
Ed è proprio partendo dalla persona che si costituisce il “capitale sociale” ossia “quell’insieme di relazioni di fiducia, di affidabilità, di rispetto delle regole indispensabili a ogni convivenza civile”. È questa la più sintetica, ma anche più efficace lezione di economia degli ultimi anni. La fiducia come elemento costitutivo ed essenziale della dinamica economica, una fiducia che può e deve nascere dal rispetto per la dignità di ogni persona.
Il denaro, le regole, perfino il mercato devono essere considerati strumenti al servizio della società, strumenti utilizzati per i fini che non necessariamente sono solo quantitativi, ma devono rispondere alle esigenze di una società complessa, in cui è fondamentale affrontare i temi delle disuguaglianze, della disoccupazione, della povertà. Ricostruendo quella fiducia che è il vero motore di ogni reale progresso economico.