Lobby delle armi in pressing sugli europarlamentari. Aziende di Germania, Francia e Italia in prima linea, ma ci convinceranno a comprare dagli USA
I dati sono di Transparency International: 197 incontri dei lobbisti delle armi con gli europarlamentari di diverse nazioni, contro i 78 dei cinque anni precedenti. Non ci si deve sorprendere: il tempo del riarmo è stato annunciato a più riprese dalla NATO e dalla stessa UE, e chi sostiene l’industria bellica sente il profumo dei soldi. Tanti.
Gli incontri sono promossi da aziende europee ma anche statunitensi, che utilizzano budget milionari con incrementi a doppia cifra rispetto all’attività precedente.
La campagna di riarmo, racconta Marco Bertolini, generale della Brigata Folgore e comandante di numerose operazioni speciali in Libano, Somalia, Kosovo e Afghanistan, si fa forte della previsione di un attacco da parte della Russia, che molti analisti non vedono affatto imminente. Punterà principalmente sui mezzi corazzati, ma anche sui missili. È pensata per favorire l’industria bellica di Germania, Francia e anche Italia, ma ad approfittarsene saranno soprattutto le grandi imprese americane.
Generale, il riarmo europeo fa gola alle industrie belliche del continente ma anche a quelle americane. Saranno queste ultime ad avvantaggiarsi dell’aumento delle spese militari?
L’Europa è ben posizionata nella produzione di armi, soprattutto quelle tecnologicamente più utili. Però sono gli Stati Uniti a farla da padrone, anche perché le armi che servono adesso sono le più nuove, le più evolute. In Italia non siamo messi male: abbiamo Leonardo e Fincantieri. Per il riarmo, fino a qualche tempo fa, si puntava soprattutto sui mezzi corazzati. Ora credo che i fari siano puntati sui missili.
Ma come funziona il sistema delle lobby?
È un’attività consentita. D’altra parte, se in sede europea si tiene una riunione per parlare di un nuovo carro da battaglia, credo che non la si possa fare di nascosto, soprattutto se partecipano parlamentari di vari gruppi. Questo a prescindere dal fatto che, invece del termine “lobby”, alla situazione si attaglino meglio altri termini, come “pressione”, “promozione”, “marketing”. Una cosa è certa: le attività di lobbying non sono solo delle ditte, ma anche degli Stati. Lo abbiamo visto anche con l’Italia: a suo tempo, dopo la vicenda dei due marò, abbiamo avuto problemi con l’India e al nostro posto si è inserita la Francia, che ha colto l’occasione.
L’industria bellica, quindi, è strettamente collegata alle istituzioni statali e alla loro attività nel settore?
Non c’è ombra di dubbio. Lo è anche in Italia, dove Leonardo è una partecipata statale. Ed è giusto che sia così: stiamo parlando di risorse importanti per lo Stato, risorse strategiche. Se fossero abbandonate alla logica del mercato rischieremmo di trovarci a terra, come è successo con le telecomunicazioni. Si è privatizzato tutto, poi il mercato spinge da qualche altra parte rispetto alla nostra e noi rimaniamo con il cerino in mano.
Le pressioni delle aziende possono arrivare a modificare anche le scelte politiche?
Credo che ci abbiano convinto che è necessario armarci per combattere l’odiato nemico comune, individuato nella Russia. Ci sarà un’altra attività di lobbying, magari meno evidente, per convincerci che gli strumenti migliori per combattere sono quelli che provengono da una certa direzione, in particolare dagli Stati Uniti. Ci hanno persuaso del fatto che abbiamo un nemico, anche se non ne sentivamo il bisogno, e ci convinceranno che le armi delle quali dobbiamo dotarci per difenderci da questo nemico sono quelle che ci vogliono vendere loro. Se le cose procedono come vedo, questa è la mia previsione.
Oltre agli americani, chi potrebbe essere favorito da questa nuova corsa agli armamenti? Chi potrebbe trarne vantaggio come Paese, come aziende?
Penso alla Germania, con Rheinmetall, una realtà industriale importantissima, con una grande tradizione nella produzione di armamenti. La Germania ha le risorse per produrre uno sforzo notevole, anche se dovrà sostenerlo con una mano legata dietro la schiena, considerato che, con l’aumento dei prezzi dell’energia dovuto allo stop dei rifornimenti dalla Russia, come minimo avrà profitti minori. Come Paese, però, è una potenza indiscussa in questo settore.
E la Francia?
La Francia conserva una sua tradizione consolidata che privilegia l’autonomia nella produzione degli strumenti militari. Penso al caccia Rafale, ai carri armati Leclerc: non sono grandi mezzi, però i francesi hanno potuto produrne un certo numero da soli. Quindi, se ci sarà chi in ambito internazionale farà affari sfruttando questa frenesia bellicista europea, non li farà a danno della Francia.
Anche l’Italia potrebbe avvantaggiarsi?
Sì, certo, anche l’Italia: ha delle capacità importanti, riunite tutte quante più o meno sotto la bandiera di Leonardo. Riguardano le armi individuali, ma anche i sistemi di comunicazione, di comando e controllo. Il mercato italiano è sempre stato piuttosto povero, perché non ci sono state grandi richieste da parte delle forze armate, ma le risorse le abbiamo sempre avute, come quella della Oto Melara, anch’essa parte di Leonardo.
In sintesi, rischiamo di comprare soprattutto dagli americani e le spese saranno orientate soprattutto sui missili?
Su questo è meglio fare un ragionamento più articolato. Con la guerra in Ucraina siamo stati sensibilizzati sulla necessità di avere una componente terrestre pesante e significativa, cosa che avevamo abbandonato un po’ tutti. Carri armati, semoventi con il relativo munizionamento: un settore nel quale potrebbero essere avvantaggiate realtà europee come Rheinmetall. Gli americani hanno conosciuto qualche battuta d’arresto in Ucraina: qualche carro armato Abrams è stato colpito, distrutto o catturato dai russi.
Sembra che li abbiano ritirati dal conflitto proprio per evitare di svalutarli sul mercato. È così?
È successo anche per i Leopard tedeschi, che hanno trovato pane per i loro denti. Se la guerra in Ucraina ha posto l’accento su questo aspetto della difesa, quella tra Israele e Iran ha messo in luce la nostra impreparazione dal punto di vista dei sistemi contraerei, dei missili e dei missili a grande capacità, in grado di avere un ampio raggio d’azione.
Dal punto di vista tecnologico, le aziende americane sono effettivamente superiori alle nostre per i missili, per esempio, e anche per altri armamenti?
Gli Stati Uniti si possono permettere di spedire nello spazio dei turisti per fare un giro in assenza di gravità e tornare a terra. Hanno un vantaggio tecnologico che è difficilmente colmabile. Producono velivoli che noi facciamo fatica a realizzare. Le risorse le abbiamo anche noi, ma loro sono un enorme mercato, una potenza economica che riesce a mettere a frutto le proprie capacità come noi difficilmente possiamo fare.
(Paolo Rossetti)
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