Un ponte non è un semplice oggetto che serve per attraversare un fiume; e una strada non è solo un modo razionale per andare da una città all’altra. Queste, come altra costruzioni tecnologiche e le opere pubbliche in genere, sono molto di più di semplici strutture funzionali. Al punto che si può parlare di opere d’arte, come fa Javier Manterola nell’appassionato e attraente (grazie anche a un gran numero di spettacolari immagini fotografiche) saggio Ingegneria come opera d’arte, da poco pubblicato da Jaca Book su proposta e in collaborazione con la NET Engineering di Padova.
Manterola è, manco a dirlo, un ingegnere; un ingegnere civile specializzato soprattutto nella progettazione di ponti e docente alla Escuela Superior de Ingegneros di Madrid. È abituato a guardare al suo lavoro con uno sguardo aperto e a cercare tutti i possibili nessi con altre dimensioni del sapere e con altre manifestazioni dell’espressività umana. Non si rassegna al fatto che finora «la possibilità contemplative dell’uomo era stata circoscritta all’opera piccola, maneggevole, capace di entrare in una stanza o in un museo». Lui si vuole confrontare con realizzazioni di centinaia o migliaia di metri, che vanno ad incidere sul paesaggio e interagiscono con un contesto di vita molto più ampio.
E proprio il rapporto col contesto è la prospettiva dalla quale Manterola affronta le sue costruzioni; ma è anche quella nella quale ci invita a posizionarci per imparare a «vedere l’ingegneria». Potremmo così scoprire che le opere “lineari”, cioè strade, ferrovie e canali – con buona pace di tanto movimenti del “NO” – riescono a migliorare il paesaggio, a renderlo «addirittura più bello di com’era allo stato naturale». Certo, per arrivare a tanto bisogna che la sovrapposizione delle geometrie al terreno avvenga secondo una combinazione virtuosa, senza compiere oltraggi smisurati e ferite irrecuperabili per il territorio. Ma quando questa combinazione è ben disegnata può dare risultati grandiosi.
Una strada che “si insedia” nel paesaggio può diventare un’opera d’arte anche se non era stata progettata per questo. Il confronto, tramite delle vedute aeree, tra una strada moderna che solca un territorio variegato, la Muraglia cinese e l’installazione Running Fence di Christo, mostra come le tre opere riescano a dirci qualcosa di più sul paesaggio nel quale sono inserite: ci evidenziano la geometria del terreno, dicono qualcosa della geologia e della sua struttura interna. Certe strade che “tagliano” dei fianchi di montagne o che intersecano canali o scorrono parallele alle coste, non solo hanno un’enorme forza evocativa ma aiutano a vedere meglio ciò che la natura aveva prodotto. Una strada «può creare un’infinità di paesaggi», realizzando un formidabile adattamento con la morfologia del terreno. Insomma, «le geometrie stradali possono essere bellissime: bisogna solo abituarsi a guardare».
Ma è nei ponti che sommamente si applicano questi criteri di proficuo inserimento nel paesaggio e che la dimensione estetica raggiunge il culmine, secondo Manterola. «Un ponte deve essere bello», dice l’ingegnere spagnolo; e ciò senza trascurare tutti i problemi tecnoscientifici e le soluzioni oggi ampiamente disponibili: anzi, in molti casi «l’esaltazione della qualità tecnica diventa eccellenza estetica». D’altra parte la tecnica «non è solo un mezzo che sta lì fermo per essere utilizzato; è anche un risultato della nostra intenzione finale … L’idea che la tecnica sia l’applicazione della scienza alle cose pratiche è sbagliata; normalmente scienza e tecnica sono così strettamente legate che una dà origine all’altra e viceversa». Ciò sarà ancor più evidente in futuro, con l’affermarsi dei nuovi materiali, capaci ad esempio di “chiudere da soli le proprie crepe” o con le strutture intelligenti, in grado di rispondere in modo differenziato alle sollecitazioni cambiando il proprio stato di tensione mentre questo è prodotto.
Interessante è riflettere, come fa Manterola, sul rapporto tra un ponte e lo spazio circostante: rapporto che è diverso da quello, ad esempio, di un edificio. A differenza di una casa, un ponte non viene collocato in un punto in cui sta bene: «il ponte si incastra nel terreno e questo incastrare ha un significato diverso dal collocare in un punto».
L’ingegnere – e non solo quello dedicato alle opere civili – incarna una particolare consapevolezza del rapporto uomo-natura che si traduce nella predisposizione ad «accettare le irregolarità del luogo come fattore di controllo del progetto» piuttosto che inseguire le proprie idee di perfezione formale e strutturale. L’imponenza di certe costruzioni si ottiene “assecondando la natura”. Manterola parla di certe strade, soprattutto nella sua Spagna, inserite nel paesaggio come di «combinazioni non cercate bensì incontrate, ma è molto importante saperle incontrare; è questo, infatti, il primo passo da compiere: bisogna averne coscienza per poterle trovare e progettare. Il lavoro degli ingegneri deve essere anche questo».