Caro direttore,
il 27 gennaio si è celebrata la “Giornata della Memoria” per ricordare il genocidio degli ebrei per mano dei nazifascisti. Giustamente è stato ribadito che occorre ricordare affinché uno dei momenti più bui della storia e dell’umanità non si ripeta. Riflettendo su questo atteggiamento totalmente giusto e umano mi è sembrato che mancasse un elemento essenziale perché il concetto di “memoria” risulti essere totalmente autentico.
“Ricordare” affinché non accada più, risponde ad un’esigenza orizzontale, mentre la memoria che risponde all’esigenza di giustizia dell’umanità deve contenere necessariamente una dimensione verticale.
Se andiamo a vedere la storia, non è bastato agli uomini fare memoria per non commettere violenze di massa inaudite anche nel dopoguerra (gli ultimi dieci anni di Stalin, il genocidio indonesiano e quello cambogiano, i massacri in Africa e in America Latina, senza contare il martirio cristiano nel mondo). Sembra dunque che la buona volontà degli uomini e la memoria storica dei testimoni non siano sufficienti a sedare la peggiore violenza.
La mia esperienza testimonia che necessita un salto di qualità ontologico per guardare all’altro senza che vinca il motto sartriano “l’inferno sono gli altri”. Occorre fare memoria di Colui che ha trasceso la natura umana invitandola a tendere al divino affinché il peccato originale non abbia sopravvento sul desiderio di pace e bene dell’uomo. Solo Cristo ha introdotto esperienzialmente i concetti di perdono attraverso il sacrificio. “Sacrificio” è una parola che mi torna spesso in mente in questo periodo. La necessità di fare un passo indietro per fare spazio alla verità e alla Verità di Colui che l’ha promessa con l’apparente annullamento di Se Stesso. È questo l’unico principio di unità tra i popoli e tra di noi, nei nostri rapporti anche apparentemente più vicini, del quale avremmo più bisogno. Perché non c’è pace e unità senza Verità.
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