Caro direttore,
per molti anni ho tenuto una rubrica settimanale sul quotidiano La Prealpina di Varese e stavo rileggendo il mio pezzo del Natale 2002, esattamente vent’anni fa.
Certo, il mondo è cambiato, ma se lo avessi riprodotto interamente qui oggi difficilmente qualcuno avrebbe scoperto che era “datato”, perché descriveva una situazione di disordine mondiale e di sostanziale ingiustizia planetaria.
Sembra proprio che nessuno voglia imparare dalle esperienze passate, che pochissimi vogliano seriamente mettersi d’impegno per costruire e non solo distruggere.
Vent’anni sono tanti per ciascuno di noi, un nulla rispetto alla storia, eppure – se non volete arrendervi alle banalità – vi consiglio di leggere il bel libro Factfulness di Hans Rosling (sottotitolo: “Dieci ragioni per cui non capiamo il mondo e perché le cose vanno molto meglio di come pensiamo”). Scoprireste che, a dispetto di mille crisi, il mondo in questi vent’anni è andato decisamente avanti nonostante tutte le auto-distruzioni umane.
I grandi numeri dicono che il livello di vita è generalmente migliorato anche nei Paesi “poveri” nonostante epidemie e guerre, ma forse un bilancio vero non andrebbe fatto su statistiche mondiali più o meno tranquillizzanti per quanto riguarda salute, istruzione, clima o vita media anche se – al di là dei catastrofismi – è per fortuna la verità.
Quello che piuttosto non entra nella statistica – e invece dovrebbe “pesare” soprattutto in questi giorni natalizi – è piuttosto il bilancio di ogni singola vita, quello dei rapporti umani che ciascuno di noi ha con il prossimo.
E qui non c’entrano proprio le statistiche, visto che ciascuno è arbitro di sé stesso e le conclusioni deve trarle da sé con bilanci che forse vengono più facili proprio a fine d’anno, ma che dovrebbero coinvolgerci anche (o soprattutto) per quell’“incidente” che siamo abituati a festeggiare una settimana prima di Capodanno e che chiamiamo Natale.
Non so come effettivamente siano andate le cose in quel di Betlemme ai tempi del fu Cesare Augusto. So però che da lì è nato (o continuato) un grande discorso che coinvolge tutta l’umanità, anche se quasi sempre facciamo finta di non pensarci, occupati da tutt’altro.
Poi qualche volta, magari nei momenti tristi o in quelli – come a fine d’anno – in cui più facilmente si fanno bilanci, ecco che ci accorgiamo che il discorso dentro di noi è sempre incompiuto, ma che comunque da soli non ce la facciamo perché il “prossimo” – quello che sta appena là fuori – comunque ci interroga, ci impone di non pensare solo a noi stessi, se siamo minimamente logici. Non è qui in gioco innanzitutto la fede religiosa, ma il senso che abbiamo della natura umana.
Per chi crede (io “ci spero”) la testimonianza che è nata in quella stalla è particolarmente aperta, spalancata al “prossimo tuo” tanto da costringerci a pensare non sono alle statistiche del mondo, ma piuttosto al nostro bilancio intimo, unico, personale.
Possiamo non farlo, girarci intorno, far finta di dimenticarlo, ma prima o poi siamo comunque costretti a farlo perché in fondo questo bilancio diventa una specie di necessità, sale dal di dentro come un tappo di sughero che risale verso la superficie dell’acqua e che nessuno può fermare: prima o poi riemerge in piena luce.
Se ci fermiamo a riflettere un po’ su questi nodi ecco che allora la luce delle luminarie di questi giorni conta davvero poco, mentre vale ben di più quella luce che ciascuno di noi può accendere dentro di sé.
Alla fine festeggiare il Natale “vero” – al di là dei “seasonal greetings”, formula ipocrita di auto-assoluzione per chi non ha più nemmeno il coraggio di sentirsi cristiano – dovrebbe essere soprattutto pensare seriamente a questi aspetti, senza nasconderci dietro a regali più o meno riciclati, obbligati o banalità solo perché “si usa” scambiarseli.
Riflettendo, scopriremo che ci serve assolutamente una luce, ma soprattutto la “nostra” luce, quella che riceviamo quando arriviamo in questo mondo ma che poi un giorno dovremo restituire, e che è comunque bello, alla fine, distribuirla intorno a noi.
Potremo farlo in mille modi, cominciando a rifletterci un po’ e poi visitando chi è solo, perdonando un torto, aiutando un poco di più chi ha bisogno. Alla fine, distribuire un po’ di quella luce è il regalo più bello che potremo fare ed è fantastico che possiamo costruirlo da noi prima di tutto per noi stessi.
Anche questo è rinascere, ed è davvero Natale.