Caro direttore,
Marco Tosatti, vaticanista un tempo illustre ed oggi dominato dal rancore verso il Papa, ha un coniglio nel suo cilindro che estrae nei momenti cruciali. Si tratta del vescovo Viganò, il grande accusatore di Francesco, il Fantomas che appare e dispare lanciando, di volta in volta, proclami ed anatemi. Così il 29 aprile, nel suo blog Stilum curiae Tosatti ci propone un’intervista all’ex nunzio pontificio che costituisce una vera e propria chiamata alle armi, un invito alla rivolta per l’episcopato e il clero italiano contro il Papa e la Cei accusati di essere proni al governo Conte e allo Stato sulla questione dell’apertura delle chiese e della possibilità di svolgere liturgie e sacramenti in tempi di coronavirus. Quello che colpisce nell’intervista, al di là dei contenuti, è, innanzitutto, il tono. Apocalittico, barricadero, da scontro finale. Viganò dipinge il traballante governo Conte, che non può certo essere accusato di tenere un atteggiamento negativo verso la Chiesa, come se fosse occupato da un pericoloso tiranno, da un dittatore. Fiuta il totalitarismo dietro l’angolo. Di qui l’invito alla rivolta, alla disobbedienza civile e religiosa.
“Mi permetto di rivolgermi ai miei confratelli nell’Episcopato: credete che, quando in Messico o in Spagna chiusero le chiese, proibirono le processioni, vietarono l’uso dell’abito religioso in pubblico, le cose siano iniziate diversamente? Non permettete che con la scusa di una presunta epidemia si limitino le libertà della Chiesa! non permettetelo né da parte dello Stato, né da parte della Cei! Il Signore vi chiederà conto delle anime che sono morte senza Sacramenti, dei peccatori che non hanno potuto riconciliarsi con Lui, dell’aver voi permesso che, per la prima volta nella storia a partire dall’Editto di Costantino, fosse proibito ai fedeli di celebrare degnamente la Santa Pasqua. I vostri sacerdoti non sono pavidi, ma eroici testimoni, e soffrono per gli ordini arbitrari che impartite loro. I vostri fedeli vi implorano: non restate sordi al loro grido!”.
Giuseppe Conte appare qui come un novello Diocleziano, un Decio, uno Stalin redivivo. Consapevole di spingersi troppo oltre e di cadere nel ridicolo Viganò ridimensiona:
“Non ci troviamo ancora, almeno in Italia, dinanzi alla scelta cruciale tra la vita e la morte; ma ci viene chiesto di scegliere tra il dovere di onorare Dio e di renderGli culto, e l’obbedienza prona ai diktat di sedicenti esperti, mille volte contraddetti dall’evidenza dei fatti”.
Non resta che una strada, la disobbedienza alle leggi.
“L’obbedienza è ordinata alla Verità e al Bene, altrimenti è servilismo. Siamo arrivati ad un tale ottundimento delle coscienze che non ci rendiamo più conto di cosa significhi ‘dare testimonianza alla Verità’: crede che Nostro Signore ci giudicherà per esser stati obbedienti a Cesare, quando questo significa disobbedire a Dio? Non è forse tenuto il Cristiano all’obiezione di coscienza, anche sul lavoro, quando ciò che gli è richiesto viola la Legge divina? Se la nostra Fede si basasse solo sull’obbedienza, i Martiri non avrebbero nemmeno dovuto affrontare i tormenti a cui li condannava la legge civile: sarebbe bastato obbedire e bruciare un grano d’incenso alla statua dell’Imperatore”.
Come è possibile, ci chiediamo, che un prelato esperto di diplomazia travisi così platealmente la realtà delle cose? Non vede Viganò che è bastata una lettera risentita della Cei perché il governo si sia immediatamente attivato per una soluzione del problema? Di quale imperatore sta parlando se gli stessi avversari del presidente lo accusano di debolezza e di indecisione? Forse che il governo è dominato da una ideologia anticristiana? Come si può abusare della carta del “martirio” quando non c’è alcun plotone di esecuzione dietro l’angolo?
In realtà tutta questa retorica e il tono apocalittico dipendono da ben altro e il governo Conte è solo un pretesto. Quello che importa a Viganò, a Tosatti, ad Aldo Maria Valli che ha rilanciato l’intervista, è l’invito rivolto alla Chiesa di ribellarsi al Papa, al cardinal Bassetti, a mons. Parolin. L’ “occupazione” delle chiese è il pretesto per promuovere una ribellione dentro la Chiesa, non fuori. A Vigano non interessa nulla di Conte; lo accusa non perché è contro la Chiesa, come vorrebbe far intendere, ma perché è vicino al papato. Se Conte fosse contro Bergoglio anche la questione delle chiese, aperte o chiuse, non sarebbe così dirimente. A loro interessa unicamente delegittimare il papato, confinarlo nell’angolo, dividere la Chiesa, incitare una sua parte contro Francesco. Viganò lo afferma senza mezzi termini:
“L’unità nella Fede e nella Carità si fonda sulla salvezza delle anime, non in loro danno: non bastano né le ‘interlocuzioni’ della Cei né i sorridenti incontri papali con il Primo Ministro, al quale si è concessa un’indulgente collaborazione, che svela connivenze e collaborazionismo. Proclamare la verità è necessariamente ‘divisivo’, perché la verità si oppone all’errore, come la luce si oppone alle tenebre. Così ci ha detto il Signore: ‘Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione.’ (Lc. 12, 51)”.
La verità “divisiva” di cui parla Viganò non è certo quella del Vangelo: è un’arma tagliente che serve a separare coloro che stanno con Francesco – i corrotti, i corruttori della tradizione e della dottrina, i compromessi con il potere – dai puri, gli incontaminati. Come ai tempi di Agostino è nata una nuova setta, la chiesa dei seguaci del vescovo Donato, una chiesa che assume toni fondamentalisti e che si confonde, attualmente, con ampi settori della destra politica americana ed europea. Come gli antichi donatisti anche i nuovi, nella loro opposizione puritana al mondo corrotto, sono perpetuamente in guerra, in lotta contro i poteri, contro la Chiesa ufficiale accomodante. Sono fedeli alla Chiesa dei martiri, allo spirito guerriero, alla lotta continua. Così, pur simpatizzando con la destra, usano categorie proprie della sinistra radicale. Il fondamentalismo cattolico-puritano si colora di toni protestanti e rivoluzionari, manichei. Il potere mondano è sempre e comunque negativo, occulto, manipolatore. Così vediamo mons. Viganò parlare il linguaggio del critico di sinistra. La pandemia? Un’invenzione dei poteri forti per dominare il mondo. Il vescovo non esita a utilizzare gli argomenti del complottismo. Afferma:
“Non è questa la sede per esprimere le mie riserve sulla cosiddetta ‘pandemia’: credo che scienziati autorevoli abbiano saputo dimostrare quello che veramente accade, e quello che viceversa si fa credere alle masse, attraverso un controllo capillare dell’informazione che non esita a ricorrere alla censura per mettere a tacere le voci di dissenso. Mi pare tuttavia evidente che il Covid-19 abbia fornito un’ottima occasione – voluta o meno, lo sapremo presto – per imporre alla popolazione una limitazione della libertà che non ha nulla di democratico, né tantomeno di buono. Sono prove tecniche di dittatura, in cui si osa addirittura programmare il tracciamento delle persone, con la scusa della salute e di una ipotetica futura recrudescenza del virus. Si pensa di poter imporre un regime tirannico in cui persone non elette da nessuno pretendono di stabilire cosa è lecito e cosa non lo è, quali cure imporre e quali punizioni infliggere per chi vi si vuol sottrarre. Cosa ancor più grave, tutto questo avviene con l’avvallo di parte della Gerarchia”.
Viganò sta usando qui lo stesso linguaggio che, in questi giorni, sta adoperando un illustre filosofo italiano proveniente dall’area di sinistra, Giorgio Agamben. Una coincidenza ideale che pone, inevitabilmente, una serie di interrogativi. Come è possibile che un monsignore, punta di diamante della reazione conservatrice mondiale, possa esprimere posizioni coincidenti con quelle di un pensatore progressista come Agamben? La coincidenza dei giudizi è impressionante. Per Agamben
“Di fronte alle frenetiche, irrazionali e del tutto immotivate misure di emergenza per una supposta epidemia [sic!] dovuta al virus corona, occorre partire dalle dichiarazioni del Cnr, secondo le quali non solo ‘non c’è un’epidemia di Sars-CoV2 in Italia’, ma comunque ‘l’infezione, dai dati epidemiologici oggi disponibili su decine di migliaia di casi, causa sintomi lievi/moderati (una specie di influenza) nell’80-90% dei casi. Nel 10-15% può svilupparsi una polmonite, il cui decorso è però benigno in assoluta maggioranza. Si calcola che solo il 4% dei pazienti richieda ricovero in terapia intensiva’. Se questa è la situazione reale, perché i media e le autorità si adoperano per diffondere un clima di panico, provocando un vero e proprio stato di eccezione, con gravi limitazioni dei movimenti e una sospensione del normale funzionamento delle condizioni di vita e di lavoro in intere regioni?”.
Saremmo di fronte, secondo l’autore alla “invenzione di una epidemia”, funzionale alla creazione di uno stato d’eccezione che, conformemente al dettato di Carl Schmitt, provvede all’esautoramento dello Stato democratico. È alla lettera, quanto afferma Viganò:
“Mi pare tuttavia evidente che il Covid-19 abbia fornito un’ottima occasione – voluta o meno, lo sapremo presto – per imporre alla popolazione una limitazione della libertà che non ha nulla di democratico”.
La sinistra, formata alla scuola di Foucault, e la destra ecclesiastica si ritrovano sulla stessa lunghezza d’onda. Non solo per la critica del potere statale ma anche, e questo è davvero singolare, per quella che concerne l’attuale pontificato. In un suo articolo del 14 aprile Agamben critica il Papa con parole che paiono tratte dal vocabolario di mons. Viganò:
“Non posso, a questo punto, poiché ho accusato le responsabilità di ciascuno di noi, non menzionare le ancora più gravi responsabilità di coloro che avrebbero avuto il compito di vegliare sulla dignità dell’uomo. Innanzitutto la Chiesa, che, facendosi ancella della scienza, che è ormai diventata la vera religione del nostro tempo, ha radicalmente rinnegato i suoi principi più essenziali. La Chiesa, sotto un Papa che si chiama Francesco, ha dimenticato che Francesco abbracciava i lebbrosi. Ha dimenticato che una delle opere della misericordia è quella di visitare gli ammalati. Ha dimenticato che i martiri insegnano che si deve essere disposti a sacrificare la vita piuttosto che la fede e che rinunciare al proprio prossimo significa rinunciare alla fede”.
Agamben critica il Papa per la decisione sull’apertura delle Chiese e sulla sospensione della liturgia usando l’esempio dei martiri. La sintonia con Viganò è totale. Per ambedue l’epidemia è una “invenzione” dei poteri occulti per dominare i popoli, per ambedue la Chiesa si sarebbe accodata al potere e avrebbe tradito il linguaggio dei martiri. L’escatologismo di Agamben si incontra con lo spirito apocalittico di Viganò. Gli opposti politici, laico l’uno, clericale l’altro, si danno la mano in un connubio che, al di là della lotta contro i poteri “invisibili”, ha come avversario “visibile” la figura di Francesco, il papa che avrebbe “dimenticato che Francesco abbracciava i lebbrosi”. Un’accusa che, rivolta al Papa attuale, ha qualcosa di incredibile. Agamben colpisce al cuore l’uomo che, in questo momento rappresenta nel mondo l’avvocato dei diseredati, degli oppressi, dei senza nome. Che sinistra rappresenta Agamben? Una sinistra che persa nella caccia dei fantasmi si diletta di delegittimare coloro che si oppongono ai poteri reali. Una sinistra blandita dalla destra, come dimostra l’intervista a La Verità del 29 aprile.
Al di là di ogni altra considerazione un punto di confluenza, tra il monsignore e il filosofo, resta comunque incredibile: l’idea che il Covid-19 sia il frutto di una “invenzione” del potere. Una “invenzione” che ha prodotto finora centinaia di migliaia di morti nel mondo e, solo in Italia, quasi 30.000 decessi, tra cui 150 medici. Questo è l’argomento che Viganò e Agamben usano per criticare la cedevolezza del Papa al governo e agli scienziati. Un argomento che in Viganò si accompagna ad una giustificazione risibile: quella sulla non pericolosità delle messe in chiese che sono, per lo più, vuote. Ancora Viganò:
“Nessuno intende esporre i fedeli al possibile contagio, ammesso e non concesso che esso sia un’eventualità così temibile; ma le dimensioni delle nostre chiese e purtroppo il numero assai esiguo dei fedeli che normalmente le frequentano, consentono di rispettare le distanze di sicurezza tanto per la preghiera individuale quanto per la celebrazione del Santo Sacrificio o di altre cerimonie. Evidentemente i solerti legislatori non vanno in chiesa da lungo tempo…”
I legislatori non andranno in chiesa ma, certamente, il monsignore non conosce il mondo. Così si spiega la frase: “Ammesso e non concesso che esso sia un’eventualità così temibile”. Viganò dovrebbe recarsi a Bergamo e nelle sue vallate e ripetere le parole dette a Tosatti. Dovrebbe visitare gli ospedali o le cliniche per anziani e allora forse uscirebbe dal suo magico mondo ecclesiastico per guardare in faccia la realtà di chi muore. Di quelle morti a lui sembra non importare nulla. Non una parola di compassione nella sua intervista. Il paladino della fede, sull’esempio dei martiri, non teme la morte. Non la teme perché, secondo lui, in fondo non c’è pericolo. I cristiani possono tranquillamente tornare a partecipare alle messe dal momento che le Chiese in Italia sono vuote, pochi le frequentano, gli spazi sono assicurati. Tanto clamore, verrebbe da dire, per nulla! Tanto sfoggio di eroismo, di resistenza ai poteri, di disprezzo del pericolo per poi scoprire che il rimedio è semplice e sicuro: le chiese deserte e i fedeli distanti da sempre e non solo in tempi di Covid. La montagna ha partorito il topolino. La rivolta auspicata, con toni guerrieri, dal monsignore introvabile, vuole l’occupazione delle chiese vuote, di chiese che già erano vuote. Spera forse, sull’onda della battaglia, che si riempiano. Non crediamo. Pensiamo invece che il suo intento sia sempre e solo quello di delegittimare papa Francesco. Qualcuno raccoglie la sua sfida. Anche Agamben non sembra disdegnare, almeno idealmente, la sua compagnia.