Tommaso d'Aquino, Agostino, Luigi Giussani e Newman: quattro figure legate da una comune appartenenza e da un approccio esperienziale alla fede
Quest’anno ricorre l’ottavo centenario della nascita di Tommaso d’Aquino, la recente nomina di un papa agostiniano ha riproposto l’attualità della figura di sant’Agostino, John Henry Newman è stato da poco nominato dottore della Chiesa. Ricorre poi il ventesimo anniversario dalla morte di Luigi Giussani, il fondatore di Comunione e liberazione. In queste stesse pagine si è più volte parlato di queste quattro figure. Ma c’è qualcosa che, pur senza entrare nel merito dei diversissimi momenti storici che hanno vissuto e della loro diversa statura, le accomuna e può metterle in relazione fra loro? Avendo studiato tutte e quattro (e non è stata una scelta casuale, ma intenzionale), mi sento di proporre un possibile nesso tra di loro. Partiamo da alcuni fatti.
La regola comunitaria di sant’Agostino è stata adottata dai domenicani, ordine cui Tommaso apparteneva. Agostino, pur essendo diversissimo da Tommaso (pensiamo allo stile affascinante del retore delle Confessioni – stile esaltato perfino da Heidegger, che pur prediligeva i greci – rispetto a quello, certo più arido delle Summae), è l’autore più citato da Tommaso.
Molto li accomuna, a partire dalla dimensione dialogica del loro pensiero. L’Aquinate non è un isolato intellettuale razionalista, come certe riprese moderne del suo pensiero possono aver suggerito. E questo sia per la vita comunitaria in cui era radicato, sia per la pratica della quaestio o discussione pubblica.
Agostino e Tommaso sono come due estremi di una polarità all’interno di una unità di fondo. Per impostare un sommario confronto fra loro, l’immagine più adeguata potrebbe essere quella dell’iceberg, la cui parte visibile è sostenuta dalla più estesa parte nascosta. Agostino, la patristica e la sua eredità hanno contribuito a gettare le fondamenta della Scolastica su un piano insieme filosofico-teologico e prefilosofico o esperienziale.
Agostino ha contribuito a porre le fondamenta nascoste dell’iceberg, vivendo in prima persona e proponendo il tema del nesso intimo fra desiderio di felicità e desiderio di verità, fra dimensione speculativa e dimensione pratica della razionalità, e quello della certezza morale basata sulla testimonianza. Così egli osserva acutamente che gli uomini “amano la verità quando risplende, ma la temono quando li redarguisce”. E aggiunge: come faccio a sapere che Cartagine esiste se non l’ho mai vista? Grazie a un insieme di testimonianze “convergenti e costanti”.
Il pensiero educativo di Giussani poi è stato più volte definito come un tentativo di sintesi fra Tommaso (pensiamo al primato della realtà e al tema delle evidenze elementari che richiama i primi princìpi dell’intelletto) e Agostino. Se vogliamo, un Tommaso esistenziale, interpretato oggi alla luce di Agostino.
Giussani, influenzato da un grande studioso della patristica come John Henry Newman, che ha dato un contributo fondamentale al tema della formazione delle certezze morali, ha sentito l’urgenza di riproporre questi temi. Per rispondere alle sfide della contemporaneità non si tratta solo di chiarire le idee e di ragionare bene. Certo questo è essenziale, soprattutto per un filosofo e un teologo, ma non basta.
Si tratta di riscoprire una dimensione che è prefilosofica e che potremmo chiamare esperienza in senso forte oppure saggezza, la quale è alla base della dimensione discorsiva e argomentativa di un pensiero che formula delle distinzioni, ma all’interno di una unità previa. Si tratta di “distinguere nell’unità” dell’esperienza in modo da “distinguere per unire” (Jacques Maritain) sul piano delle discipline. Così un albero si articola nei diversi rami nella misura in cui l’unico tronco si sviluppa saldamente attingendo la linfa dalle radici.
In questa prospettiva, non c’è contraddizione, ma solo tensione e complementarità fra la maturazione personale ricca di autenticità e di certezze (Agostino e Newman sono autori di autobiografie) e la capacità, esaltata da Tommaso, ma presente anche negli altri, di rendersi invisibile per lasciare spazio all’oggetto della ricerca.
L’esperienza umana permette a tutti e all’intellettuale in particolare di coltivare un senso, di maturare certezze motivanti, di selezionare gli interrogativi cui rispondere e di non cadere nel rischio dell’ultima scolastica (e del razionalismo in genere) di rispondere a qualsiasi domanda. Così si smarrisce l’unità del sapere e, innanzitutto, della persona, finendo per seguire passivamente le mutevoli mode del proprio tempo.
Questa riscoperta della dimensione dell’esperienza, del “fare esperienza”, deve essere posta a tema, a maggior ragione dopo l’impatto dell’individualismo consumista e della tecnologia multimediale. Giussani sottolineava spesso semplicemente che prima di essere sacerdoti o intellettuali occorreva essere pienamente umani. E non lasciava questo all’improvvisazione, ma suggeriva un metodo per essere più umani, per ritornare a ricostruire la base nascosta dell’iceberg (senza però trascurare la sua parte visibile).
— — — —
Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.