Il digitale onnipervasivo ha creato una solitudine disgregante. Come uscirne? Il filosofo franco-argentino Manuel Benasayag ne parla giovedì al CMC
Toh: dalla parte dell’umano. Di questi tempi un po’ così, accendere l’attenzione sull’umano ha la verve del tentativo underground; cioè un affondo culturale per scompaginare un po’ le carte, per dire che oggi appare davvero una questione alternativa quella di far tornare a respirare l’umano. Un’alternativa all’incidere di una normalità che, perlomeno, ne certifica una diffusa trascuratezza. E, lo vediamo, l’oblio dell’umano non è un fatto dalla “allegrezza pieno”.
Ecco allora la mossa ardita del Centro Culturale di Milano, esito di momenti di riflessioni appassionate interne alla redazione a cui si sono aggregate personalità del mondo accademico e del giornalismo. Tre appuntamenti per mettere in circolo pensieri su ciò che più fondativo di così è impresa ardua. Titolo: Dalla parte dell’umano. Dialoghi con protagonisti delle neuroscienze, della filosofia e della psichiatria.
Che poi altro non è che un viaggio delle idee per aiutarsi a ricollocare al centro dell’imprevedibile palcoscenico della realtà la domanda delle domande: cosa significa essere umani. E più precisamente: cosa rende un essere vivente “umano”.
Questo giovedì il CMC ospita il professor Manuel Benasayag per una conversazione provocata da questo input: “Esistere nell’era tecnologica. Singolarità, umano, artificiale”. Benasayag è filosofo e psicoanalista. Argentino, poi naturalizzato francese, ha un vissuto piuttosto vivace, avendo preso parte alla guerriglia guevarista nelle file dell’Esercito Rivoluzionario del Popolo. È stato arrestato tre volte e in carcere ha conosciuto l’esperienza della tortura. Dopo quattro anni dietro le sbarre, ha abbandonato progressivamente la dialettica delle armi per avviare un fecondo percorso di studi (assai più profittevole il metodo delle armi della dialettica!) a Parigi sul terreno dell’antropologia, dell’epistemologia e della biologia.
E, quasi in modo naturale, è approdato a ragionare di umano in relazione alle macchine, ovvero si è messo a fare i conti con questo “tecno” presente. Dunque, a ingaggiare un affascinante duello con l’intelligenza artificiale, con l’invasione degli algoritmi. Con questa provocazione divenuta sistemica e perciò pervasiva a tutti i livelli.
E se la rivoluzione digitale ha vieppiù facilitato l’individualismo, ecco che per lui è possibile provare a uscire dal cono d’ombra di questa colonizzazione dell’umano con ricadute culturali e politiche; di quella che sembra, a tutti gli effetti, una resa quasi compiaciuta del colonizzato/individualista. In che modo?

Attraverso l’organizzazione di forme aggregative dal basso, piccole, informali, secondo la migliore tradizione mutualistica. Un fare rete relazionale per rendere umano il nostro rapporto con il digitale/artificiale. Un aggregarsi dentro la vita quotidiana per affermare la propria libertà, la propria libertà “intelligente”. È il tempo dell’io relazionale, libertario, liberante e liberato nel prendere le misure all’insidia del cedere il passo all’individualismo.
È chiaro allora che il sistema tecnocratico/artificiale può più facilmente portare a casa la vittoria sull’umano se va a buon fine il suo progetto seduttivo, approfittando dell’isolamento in cui versa l’individuo.
Le cose, però, si possono anche complicare e si complicano se l’essere vivente “umano” torna a pensare pensandosi non da solo, bensì in rapporto intelligente con gli altri. E così la rivoluzione digitale viene messa in discussione come realtà messianica rientrando, per così dire, nei ranghi che appartengono a ciò che è strumentale per quanto evolutissimo e conveniente.
Solo l’umano ritrovato può mettere in discussione la tecno-potenza. Benasayag, che un po’ s’intende di tentativi rivoluzionari, a proposito di quell’auspicato risveglio dell’umano generativo di forme aggregative dal basso, dice che si tratta di lavoro esperienziale da compiere, un esperimento affascinante che però potrebbe esprimere anche criticità. L’orizzontalità creativa è sì una bella opportunità, un gesto alternativo carico di vita, specie ora che si vedono sul terreno gli esiti delle gravi conseguenze prodotte dalla globalizzazione per come l’abbiamo conosciuta.
Tuttavia, c’è un pericolo per lo studioso franco/argentino, evidentemente allergico al sistemico in quanto tale, ed è quello che l’orizzontalità creativa possa uscire dal seminato del locale nel tentativo di allargarsi a macchia d’olio.
Il locale che si fa sistema globale non è un buon affare. Per la semplice ragione che il globale in sé è un’astrazione e che il globale ha la sua ragion d’essere proprio nell’effervescenza del locale. Il problema, insomma, sarebbe quello della massa critica. Ma l’umano educato potrebbe avere gli anticorpi per giocare questa partita. Altamente creativa. È l’umano che esiste nell’era tecnologica. Da soggetto pensante. Propositivo e attrattivo. L’io in azione è cosa buona e giusta.
Gli altri due appuntamenti del ciclo prevedono l’incontro con Thomas Fuchs, psichiatra e filosofo, e Derrick De Kerckhove, sociologo.
Si comincia con Manuel Benasayag giovedì 27 novembre, ore 21 al CMC. Informazioni e prenotazioni su www.centroculturaledimilano.it
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