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Home » Cultura » Letture e Recensioni » LETTURE/ Blondel, scendere nel cuore della modernità per cercare Dio

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LETTURE/ Blondel, scendere nel cuore della modernità per cercare Dio

Sergio Arosio
Pubblicato 20 Luglio 2025
Maurice Blondel (1861-1949)

Maurice Blondel (1861-1949)

Maurice Blondel (1861-1949), tra i maggiori filosofi del 900, cattolico, riteneva che vita e fede, filosofia e religione non siano separabili (1)

“La vita umana ha o non ha un senso? E l’uomo ha un destino? Io agisco, ma senza neanche sapere che cos’è l’azione, senza aver desiderato di vivere, senza conoscere esattamente né chi sono né addirittura se sono. Questa apparenza di essere che si agita in me, queste azioni irrisorie e fugaci di un’ombra, ebbene sento dire che esse portano in loro una pesante responsabilità per l’eternità […] il problema è inevitabile; l’uomo lo risolve inderogabilmente; e questa soluzione, giusta o sbagliata, ma volontaria e al tempo stesso necessaria, ognuno la porta nelle proprie azioni”.


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Così si apre L’Azione, una delle opere più famose del filosofo Maurice Blondel, nato a Digione nel 1861 e morto ad Aix-en-Provence il 4 giugno 1950, dove qualche settimana fa ha avuto inizio il suo processo di beatificazione.

Ma perché proporlo come figura esemplare per la Chiesa tutta? Che cosa c’entra con noi un’esistenza legata al mondo accademico francese tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del secolo scorso, caratterizzata da una vita privata molto semplice, un matrimonio tranquillo con tre figli, segnato dalla fragilità fisica, fino alla cecità nei suoi ultimi anni?


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Certamente si potrebbe discorrere lungamente dei suoi interventi nelle tematiche sociali di inizio Novecento, del suo sostegno agli studenti impegnati nella Resistenza francese, del suo perdurante influsso sulla teologia e sul pensiero cattolico attraverso numerosi discepoli e della sua docile fedeltà al Magistero anche nell’ora delle incomprensioni.

Per quanto significativi, tuttavia, questi aspetti rimangono esteriori rispetto a una vicenda personale molto più grande, vissuta nell’intimo del cuore, capace di dare la giusta profondità e consistenza a tutte queste vicende.

La grandezza di Blondel consiste, infatti, nell’aver vissuto in prima persona quanto scritto nelle righe sopra riportate: per primo si è chiesto quale fosse il destino della sua esistenza, per primo ha avvertito tutta la responsabilità dei suoi gesti, per primo ha sentito come inevitabile il problema del senso della sua vita.


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È questa sua vicenda interiore che lo ha condotto a elaborare una filosofia volta a mostrare come ogni azione umana comporti un’opzione pro o contro l’Infinito, una decisione, sempre e inevitabilmente implicata anche nel più piccolo dei gesti, di accoglienza o di rifiuto nei confronti dell’Assoluto.

Il suo pensiero è quindi sorto da una vita alla ricerca della volontà di Dio nel mondo, fin dagli anni dell’adolescenza, segnati dalla scelta di studiare nel liceo statale di Digione, nonostante le preoccupazioni del padre per l’ingresso del figlio in un contesto ostile alla religione, dove avrebbe potuto perdere la fede.

I parenti di Maurice, infatti, si mostravano piuttosto critici nei confronti delle scelte laiciste della Francia repubblicana di fine Ottocento. La famiglia Blondel riteneva che per un’educazione cattolica fosse fondamentale formare cristiani ferventi e devoti, attenti ai poveri, imbevuti di spirito missionario, che potessero diventare bravi cittadini, esperti di legge, capaci di influenzare le istituzioni con il loro esemplare servizio professionale. Di fronte al mondo moderno apparentemente chiuso alla trascendenza, si riteneva che fosse necessario penetrare in esso aprendo uno spazio per il soprannaturale con l’esempio, con l’azione politica e sociale.

Maurice, pur non disdegnando questa prospettiva, decise di scendere fin nel cuore della modernità e della sua lontananza dalla fede per riconoscere anche lì un segreto desiderio di Dio.

Non bastava introdurre un comportamento nuovo in una società secolarizzata, aggiungervi del soprannaturale quasi dall’esterno, bisognava piuttosto rifarne il pensiero: era necessario discernere una ricerca dell’Assoluto anche in chi apparentemente lo ignorava.

Per questo, qualche anno dopo, scelse di studiare filosofia e non in un luogo qualunque, ma a Parigi presso l’École Normale, la scuola della classe dirigente della Terza Repubblica, dove si formavano i professori delle università francesi, un ambiente accademicamente molto rilevante ma segnato da ogni sorta di opposizione alla fede cattolica.

Era un salto rischioso non solo dalla provincia francese alla grande capitale, ma verso un mondo estraneo alle tradizioni in cui era stato cresciuto, tuttavia era il modo migliore per comprendere il mondo moderno e la sua essenza. Dovette intervenire persino il vescovo di Digione a placare la preoccupazione dei genitori di Maurice e ad attenuare la loro opposizione a tale scelta.

Un episodio dei primi giorni all’École Normale rende bene il clima in cui era atterrato il giovane Blondel. Non appena un compagno più grande scoprì che era credente commentò: “Come può un ragazzo che sembra intelligente dirsi ancora cattolico?”. Il nostro studente di filosofia si mostrò pronto nel rispondergli: “Grazie per il complimento, ma più che sembrare intelligente, ci terrei ad esserlo”.

Questo scambio di battute rivela l’attitudine interiore di Maurice, capace di far coabitare senza problemi nella sua esperienza la critica più intrepida con il più autentico cattolicesimo. Prima ancora che il suo pensiero, è la sua vita a mostrare che la fede non diminuisce l’intelligenza, la capacità di stare nel mondo e di comprenderlo.

Come scriverà successivamente “non è un’intenzione apologetica, una preoccupazione morale, un desiderio di riforma o di novità che mi hanno guidato nel lungo itinerario delle mie avventure intellettuali; io ho principalmente voluto fare un’opera tecnica e autonoma di filosofia, senza altra ambizione che di esplorare pazientemente tutto il campo accessibile alla ragione e di precisare e di estendere la competenza della filosofia, di ricordare agli spiriti critici certi problemi primi o ultimi, da cui si erano distolti per mancanza di metodo e che non avevano espressamente affrontato sul terreno razionale”.

È stato il percorso umano di Maurice Blondel a portarlo a riconoscere, anche sul piano intellettuale, l’impossibilità di separare filosofia e religione, perché non è possibile separare il mondo dalla fede, perché non è possibile concepire una ragione chiusa in se stessa, separata da ogni domanda su quanto la supera; così come il soprannaturale non può entrare nelle vicende degli uomini come un estraneo, come una risposta a una domanda di cui non si è coscienti.

(1 – continua).

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