La dedizione all’Assoluto rivelato in Cristo chiede una scelta continua, radicale. È la sola opzione che può, per Blondel, salvare il mondo (3)
Per Maurice Blondel la scelta tra la vita nel mondo come marito, padre di famiglia, professore nell’università laica e il sacerdozio, per quanto chiara e necessaria, non fu per questo meno drammatica. Tuttavia, come aveva scritto qualche anno prima, “non si va avanti, non si impara, non ci si arricchisce, se non precludendosi tutte le vie tranne una, se non impoverendosi di tutto quello che si sarebbe potuto sapere e guadagnare in altro modo. C’è un rimpianto più sottile di quello dell’adolescente obbligato, per entrare nella vita, ad arginare la sua curiosità con una specie di paraocchi? Ogni decisione taglia fuori un’infinità di atti possibili […]”.
“Avrò almeno la facoltà di fermarmi? No, bisogna andare avanti. Potrò sospendere la decisione, per non rinunciare a niente? No, bisogna impegnarsi, altrimenti si perde tutto; bisogna compromettersi. Non ho il diritto di stare in sospeso, altrimenti non ho più il potere di scegliere. […] è dunque necessario di buon grado che io metta a disposizione testa, cuore e braccia”.
Non si può vivere senza scegliere, non si può scegliere senza rinunciare, non si può rinunciare se non per scoprire che gli strappi anche dolorosi sono per una fecondità più grande, per poter veramente aderire a quello che ci è chiesto, per poterci realmente dedicare a quello che ci è chiesto di realizzare.
E ciò che Blondel scrive l’ha vissuto in prima persona, per questo l’indagine della Chiesa circa la sua santità diventa interessante per tutti, anzitutto per la libertà e la serietà con cui ha affrontato i momenti decisivi della sua vita.
La sua esperienza e la sua filosofia l’hanno condotto a riconoscere che nelle scelte non si manifesta solo l’ineludibile destino di ogni uomo, ma si rivela qualcosa dell’Assoluto stesso. Il non volersi decidere, il pensare di poter trattenere tutto finisce per farci pensare chiusi in noi stessi, autosufficienti. Al contrario, Blondel rivela la grandezza di ogni esistenza proprio nel fatto che ogni scelta manifesta la nostra possibilità di aprirci a qualcosa di più grande.
Forse in questo momento non siamo chiamati come Maurice a inoltrarci in territori ostili alle nostre convinzioni, ma non per questo non possiamo non chiederci se sia possibile riconoscere la presenza di Dio là dove siamo, se si possa indovinare in ogni persona che incontriamo il desiderio e la necessità di incontrarLo.
Forse attualmente non dobbiamo decidere il nostro stato di vita, magari siamo già passati attraverso la gioia e il tormento di comprendere la nostra vocazione, tuttavia il discernimento di Maurice circa la sua missione affascina, perché ci chiede di ritrovare continuamente anche noi la sua sincerità e profondità.
Pochi altri hanno testimoniato nella storia la capacità di tenere insieme il fascino per l’ideale e la libertà nel concretizzarlo, la stima per il sacrificio e la dedizione della consacrazione e la semplicità nell’accogliere una strada diversa che la realtà dispiegava. È la liberazione, sempre valida e sempre necessaria per ciascuno di noi, da un’idea schematica dell’opera di Dio nelle nostre vicende.
Si tratta di riconoscere se sia possibile vivere da cristiani nel mondo senza esserne estranei, ma senza essere neppure assorbiti o ridotti nella propria novità.
Il desiderio di Blondel di prendere sul serio la propria vita e il proprio destino lo ha portato a riconoscere la dimensione soprannaturale come assolutamente gratuita e assolutamente necessaria per il mondo, necessaria perché non potrebbe aggiungersi dall’esterno come qualcosa di posteriore o superfluo, gratuita perché non potrebbe arrivare a noi se non come un dono.
Diversi anni dopo, Blondel stesso arrivò a descrivere che cosa fosse la santità; pur nel linguaggio impersonale e rigoroso del pensiero, non si può non sentire un’eco della sua vicenda personale: “la dottrina evangelica, per imitare l’eccesso di carità divina, richiede all’uomo un eccesso nella medesima direzione: la sola misura nell’amare Dio, dice san Bernardo, è amarlo senza misura, come per una follia contagiosa. Non si deve credere che l’ideale cristiano sia quello di una virtù borghese o di un tranquillo equilibrio”.
“Sembra più corretto vedere gli eroi della santità incarnare certi tratti particolari, certe iniziative paradossali che provocano la sorpresa, le interpretazioni errate, persino la persecuzione. I santi sembrano così, in un piano provvidenziale, destinati a risvegliare le anime, anche quelle virtuose, per impedire che l’ideale cristiano si banalizzi, si umanizzi degenerando in una sorta di filosofia ideale, alla maniera dei saggi stoici o degli eroi dell’ascesi metafisica. Destinata a far scoppiare la presenza del soprannaturale nel mondo stesso, che è portato a negarla o a relegarla nel passato della storia o della leggenda, la santità giustifica la perpetua dichiarazione di guerra di Cristo al mondo e, per conseguenza, del mondo a Cristo”.
(3 – fine)
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