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Home » Cultura » Letture e Recensioni » LETTURE/ Come sopravvivere all’occupazione sovietica: la “guida” di Litka de Barcza

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LETTURE/ Come sopravvivere all’occupazione sovietica: la “guida” di Litka de Barcza

Silvia Stucchi
Pubblicato 28 Maggio 2020
Festeggiamenti a Leningrado al termine dell'assedio, 1944

Festeggiamenti a Leningrado al termine dell'assedio, 1944

L’editrice Oaks ripropone un libro uscito in Italia nel 1948 per i tipi di Longanesi, la bella (e ironica) storia autobiografica di Alexandra Orme, pseudonimo di Litka de Barcza

Settantacinque anni fa, giorno più, giorno meno a seconda delle differenti nazioni, si concludeva, in un panorama di macerie e distruzione, la Seconda Guerra Mondiale. Immaginate di essere una nobildonna polacca, espropriata di tutti i suoi averi dai nazisti, e costretta a riparare in Ungheria dai parenti del marito: poco dopo, però, anche l’Ungheria finisce sotto il tallone nazista; poi, alla vigilia di Natale del 1944, arrivano le truppe dell’Armata Rossa. Non tirereste anche voi un sospirone di sollievo? Comprensibilmente, sì. Peccato che, come si dice in Veneto, peggio la toppa del buco. La nobildonna in questione, Alexandra Orme, destinata a diventare una scrittrice piuttosto nota all’inizio degli anni Cinquanta, si dovrà presto ricredere.


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Con il suo Come sopravvivere all’occupazione sovietica. Una guida per gli sprovveduti (Oaks editrice, Milano 2020), la Orme (pseudonimo di Litka de Barcza, 1910-1975), racconta, con una prosa declinata spesso nei toni del grottesco, sino a effetti di comica incredulità, le meraviglie dell’occupazione sovietica. Ella sperava infatti di essersi liberata della violenza che aveva caratterizzato l’occupazione nazista: si sbagliava, e pure parecchio.


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All’inizio i soldati russi sembrano solo ragazzoni ingenui, entusiasti, grandi bevitori di vodka, un po’ avulsi dalla civiltà, come è naturale per la povera gente di campagna da tanto tempo in guerra lontano da casa. Peccato solo che, a poche ore dall’arrivo dei soldati dell’Armata Rossa, il bel castello dove viveva Alexandra coi parenti sia ridotto a una stalla, e non per modo di dire: i bicchieri e le porcellane sbriciolati, la vasca da bagno riempita di paglia e usata come letto, e tale è anche il trattamento riservato al prezioso e antico armadio dei fucili: svuotato, rovesciato a terra, riempito di paglia, ospita un soldatino addormentato. In compenso, i letti sono la sola cosa lasciata intonsa.


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Insomma, una vera orda, in cui il caos regna sovrano, con qualche vezzo: c’è il tenente che pretende di essere chiamato capitano, il capitano che urla di essere generale; alcuni degli ufficiali puliti e ben sbarbati che rifiutano sdegnosamente di ricevere dei montoni da arrostire e mangiare, “perché loro non sono tedeschi”, che si prendono la roba altrui; ma intanto, in altri scattano strani meccanismi di accaparramento: un ufficiale, per esempio, ruba le staffe da una sella. In generale, i soldati, quando non sono ubriachi, non sono nemmeno cattivi; però sono come bambini: “Sono quasi tutti occupati a smontare qualcosa, chi un fucile, chi la radio, chi il barometro. La loro passione è smontare. Ancora tutti sporchi e ansimanti, prima ancora di essersi lavati, nutriti, riposati, stanno già smontando tutto ciò che cade loro nelle mani”. E dire che, se solo avessero la cognizione del valore degli oggetti che stanno smontando o fracassando allegramente, capirebbero che potrebbero, rivendendoli, farci un sacco di soldi.

Ma presto al folklore subentra la paura, e che paura: Alexandra infatti è per metà polacca, e quindi slava; è quella della famiglia che riesce a intendersi meglio con gli occupanti e a farsi relativamente rispettare, dato che, annota, “sembra che nella loro testa il panslavismo abbia fatto molta più presa del comunismo”. Tuttavia, ella ha agli occhi dei russi una colpa: appartenendo all’élite della sua nazione, parla infatti molte lingue e ha viaggiato e soggiornato in vari Paesi occidentali: il perfetto identikit di una spia internazionale, cosa che viene spesso accusata di essere. Sarà quindi sottoposta a interrogatori demenziali, ma non per questo meno pericolosi, e anzi potenzialmente mortali, in cui gli ufficiali possono passare dalle minacce ai goffi tentativi di seduzione di quella che sarà pure una spia internazionale, ma è anche una donna bella ed elegante.

Come sopravvivere all’occupazione sovietica fu pubblicato in Italia per Longanesi nel 1948, poi in Francia e infine, nel 1950, negli Stati Uniti: grazie ai proventi del libro, i de Barcza riuscirono a comprare una fattoria nel Wisconsin, dove vissero felici. Alexandra, restata vedova, nel 1973 tornò in Polonia: lo fece senza clamori, in silenzio, e senza forse che nemmeno le autorità si accorgessero del suo vecchio libro antisovietico (potenza dei tanti cognomi e degli pseudonimi); morì a Varsavia nel 1975. Il suo libro non fu più ristampato e fu dimenticato. Onore all’editore che ha reso nuovamente disponibile la testimonianza, spesso controcorrente, di un passaggio storico cruciale nella storia d’Europa.


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