Agrigento è capitale italiana della cultura 2025. C'è la possibilità che nella città siciliana sia stata rappresentata la tragedia "I Persiani" di Eschilo
Felice concomitanza di date e dati impongono un’attenta riflessione sulla possibilità che l’illustre tragediografo Eschilo possa essere stato (fisicamente o attraverso le sue opere) nella città di Akragas. Sappiamo infatti da diverse fonti, in primis nella Vita Aeschyli, che il tragediografo, dopo aver soggiornato più volte in Sicilia, abbia concluso la propria esistenza a Gela nel 456 a.C. e che in onore della città di Siracusa e del suo tiranno siano stati replicati tra il 471 e il 469 a.C. i suoi Persiani.
Proprio su quest’ultima opera mi vorrei soffermare. Nelle Storie Erodoto ci fornisce una dettagliata rappresentazione dell’epocale sconfitta dell’esercito persiano di Serse a Salamina e dell’eroica vittoria delle forze democratiche panelleniche nel 480 a.C.
È inutile nascondere lo stupore a seguito di tale evento che si è poi riverberato nella storia e storiografia greca successiva: la Libertà, rappresentata dalle poleis greche, che sconfigge l’Oppressione; la Democrazia, che sferza il fianco al potere universalistico di Uno su tutti, del Re dei Re di Persia.
Ma mentre accadeva questo sulle coste greche, impresa altrettanto eroica si impone sulle coste magno-greche di Imera, proprio nello stesso anno, il 480: ancora il nostro Erodoto racconta che Terone, tiranno di Agrigento e Gelone I, tiranno di Siracusa, si allearono per sconfiggere la crescente potenza marittima dei Cartaginesi sulle coste siceliote.
L’esito è di nuovo una vittoria dei Greci, magno-Greci, contro gli oppressori Cartaginesi, capeggiati da Amilcare. Ancora una volta la Libertà trionfa sull’Oppressione, almeno questo sembra intendere la propaganda del tiranno Ierone I che fa replicare nel teatro di Siracusa I Persiani intorno al 470 a.C., messi già in scena ad Atene nel 472 a.C.
Ebbene, se l’alleata di Agrigento, Siracusa, ha avuto l’onere e l’onore di ospitare I Persiani, perché non avrebbe dovuto anche la stessa città vincitrice ad Imera? Perché non replicare I Persiani anche ad Agrigento?
Ad oggi, purtroppo, non abbiamo attestazioni epigrafiche che possano rispondere in tal senso, ma potrebbero venirci in aiuto i dati archeologici emersi nelle campagne di scavo che dal 2016 hanno riportato alla luce i resti del monumentale teatro dell’antica Akragas-Agrigentum. Le strutture visibili sono di età ellenistica, ma recenti studi, mi riferisco in particolare a Luigi M. Caliò (2018), sembrerebbero confermare che nell’area interessata ci siano tracce dell’antico teatro del V secolo a.C.
La rampa di snodo tra l’edificio e l’agorà infatti presenta 24 buchi di palo che potrebbero indicare un’antica struttura lignea. Non è raro trovare tracce del genere per i teatri antichi, anche perché “andare a teatro” nel VI-V a.C. non significava recarsi in strutture monumentalizzate in pietra o marmo ben distinte dal resto della città, ma partecipare a spazi pubblici, come l’agorà, in cui la comunità si ritrovava a pregare, ad ascoltare editti o discorsi di politici, a prendere decisioni importanti e non da ultimo, ad assistere a spettacoli teatrali.

Spesso e volentieri si assisteva alle rappresentazioni laddove ci si sedeva a votare! Non c’era soluzione di continuità dunque tra il mondo pubblico/civile e il mondo sacro, tra l’umano e il divino, “non c’era alcuna difficoltà a immaginare Dioniso presente a uno spettacolo e parte di esso. Allo stesso modo gli attori potevano partecipare del suo mondo” direbbe J.R. Green.
Probabilmente la struttura lignea e le viciniori installazioni dell’agorà costituivano il primo nucleo architettonico del teatro antico di Agrigento con una vista mozzafiato sul mare e sui templi. Quanto detto si evidenzia sulla base del percorso che permetteva la comunicazione tra il teatro e il tempio della Concordia. Il tutto si inseriva a livello urbanistico e architettonico nel grandioso progetto che Terone aveva avviato all’indomani della vittoria di Imera.
Alla luce di quanto esaminato, non sarebbe, dunque, improbabile che Agrigento e il suo teatro abbia ospitato la messa in scena dei Persiani, perché le strutture architettoniche lo permettevano e perché in gioco c’era il risveglio collettivo dell’impresa di Atene e delle città di Agrigento e Siracusa.
In ultima analisi per la parte archeologica è da segnalare che la struttura a gradinate nell’agorà (il probabile bouleuterion arcaico) poteva contenere tra i 400 e i 500 individui e adattarsi ad ampliamenti funzionali. L’andamento rettilineo della struttura non può non far pensare ad un primo theatron (spazio scenico) rettilineo con conseguente orchestra rettilinea e non circolare come in epoca successiva. Questo si adatterebbe all’opera eschilea in quanto il retore Polluce attesta che il Coro tragico al momento del primo ingresso presentava una formazione rettangolare in file di tre, ciascuna composta da cinque coreuti disposti in righe.
È suggestivo, a questo punto, immaginare un cartellone artistico-teatrale del V secolo ad Akragas: lavoravano già in città Pindaro e Bacchilide; inoltre Agrigento è stata attribuita come patria al tragediografo Karkinos, di cui abbiamo solo opere frammentarie; Epicarmo (con le sue opere) potrebbe essere stato attivo in città, essendo il “migliore poeta comico” nella Magna Grecia, secondo Platone. E poi, il nostro Eschilo.
E allora, all’alba di una mattina di primavera del 470-469 a.C.(?) gli Agrigentini disposti sugli ikria (sedili) dell’agorà, al cospetto del tempio della Concordia e del mare, avranno visto entrare con marcia solenne il Coro dei Persiani, il Coro degli Sconfitti.
Quale grandezza lasciare spazio in scena ai vinti, ai nemici; saper dare voce al loro dolore! Questa la cifra stilistica di Eschilo e della sua opera. Già, perché chi meglio di un diretto testimone, di un vincitore, poteva raccontare ai suoi contemporanei tale disfatta? Chi meglio di Eschilo che aveva proprio combattuto a Salamina contro Serse? Tacciono per una volta gli encomi, i racconti eroici. Si deve tacere e aspettare… il ritorno dello sconfitto Re Serse.
“Ma perché sconfitto da Atene?” si chiede sua madre, la regina Atossa, all’inizio dell’opera, rivolgendosi al Coro. “Dove dicono sia Atene? In quale terra?/ perché fare sua proprio quella città?/ hanno dunque un esercito tanto forte di uomini/ forse perché nelle loro mani brilla forte la freccia dell’arco… e cos’altro hanno ancora?” (vv. 231-241).
La regina del mondo non ha pace: dov’è Atene? Lo chiede chi ha già il mondo, ma non conosce la polis che ha contribuito alla fine del dominio di suo figlio. E poi, cos’hanno i suoi uomini?
Risponde il Coro laconicamente: “si gloriano di non essere schiavi di nessun uomo, a nessun uomo sono sudditi” (v. 242). Una lezione che i nemici dei Greci hanno imparato a caro prezzo.
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