LETTURE/ la Scozia di William McIlvanney, da provincia a spaccato del mondo

- Domenico Bilotti

William McIllvanney e il suo ispettore Laidlaw sono un simbolo della Scozia. Capaci di raccontare in profondità Glasgow tra boccali di birra, piogge e indagine sociale

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Il XX secolo nella letteratura è stato anche la scoperta della provincia. Da questo punto di vista, i libri sono diventati multipolari molto prima della geopolitica. Ci sono state, è vero, le ultime colonizzazioni: ribelli e ingaggiati del Maggio francese, la grande narrativa americana, le egemonie culturali nella narrazione del secolo breve, dalla parte dei vincitori più che dei vinti (anzi, dovremmo dire degli sconfitti tout court). Chi ha avuto buoni occhi, tuttavia, ha scoperto dei mondi: l’India del Nobel Tagore, antesignano tanto di Gandhi quanto di Bob Dylan, spiritualista e canzoniere; Nadine Gordimer e il Sudafrica della svolta costituzionale; il poeta colto e alto diplomatico Giorgos Seferis, la parte nobile della Grecia aristocratica, distante dal disagio sottoproletario, ma fiera oppositrice dei colonnelli. E la Scozia: la Scozia di William McIlvanney, il compulsivo amatore di Camus e Dostoevskij che lavorava ai suoi scritti con la certosina diligenza del buon padre di famiglia.

La tumultuosa Glasgow degli anni Settanta e Ottanta non poteva trovare narratore contemporaneamente più sincero e più raffinato. E la Scozia di oggi, laboratorio permanente di sperimentazione politico-giuridica, non può avere una voce e uno specchio più forti del minuto socialista di Kilmarnock, sebbene sia scomparso quasi ottantenne e quasi un decennio addietro. Procediamo con ordine. McIlvanney è un romanziere completo. Ha frequentato con enorme passione e profitto estetico anche il genere della poesia, con tre raccolte, inedite in Italia, che hanno coperto circa vent’anni della sua prolifica produzione, dal 1970 al 1991. Da poeta, anzi, è un manovratore di registri espressivi, ricordando ellitticamente una città e una scuola pittorica che gli sarebbero piaciute: quella livornese. Nulla gli è escluso: dall’invettiva debosciata modiglianesca fino agli idilli tirrenici di Francesco Fanelli, passando per le venature ossianiche, davvero proto-noir, di Gabriele Gabrielli. Da saggista è invece impegnato soprattutto nella critica letteraria, nel rapporto con la parola, nello studio delle grandi narrative americane in poesia (Eliot, ma dietro di lui anche accenni a Ezra Pound, ai Cantos prima della folgorazione antioccidentale del poeta americano per il fascismo). E anche giornalista di attualità e cronaca, percorrendo la parabola della sua terra con uno sguardo testimoniale di toccante e tenuissima umanità: lo smantellamento della fabbrica e della miniera e tuttavia il boom dei caseggiati popolari, dove s’affacciavano nuovi tipi di salariati e non salariati; la brillantezza divertente e divertita del by night di Glasgow ed Edimburgo, alle prese con le loro scene musicali, i loro locali, i loro primi boss passati dalle sfide col rasoio al riciclaggio dei proventi della droga. Internazionalmente, in ogni caso, la sua popolarità si deve soprattutto all’ispettore Jack Laidlaw, prototipo del tartan noir fatto di boccali, piogge, lunghissime strade collinari o lacustri, indagine sociale e toni crudi, diretti, in collisione (e corrosione) tra passato e futuro. Come è probabilmente Falstaff il personaggio più shakespeariano di Shakespeare, come nella Monna Lisa pur dev’esserci qualche intenzione autocaricaturale di Leonardo, così a tutti gli effetti Laidlaw è alter ego ed eteronimo del suo creatore.

Laidlaw è il protagonista di una trilogia, ormai in Italia acquisita, tradotta e pubblicata da Feltrinelli (dopo un passato da longsellerista coi tipi meno noti della milanese Tranchida), in cui il retaggio psicologico prevalente sembra quello del senso di colpa soprattutto in mancanza di colpe. Laidlaw ha rapporti complicati e compromessi con la famiglia d’origine, per lutti che rimontano alla giovinezza; Laidlaw piace alle donne e ama la moglie, ma senza fare il libertino il loro rapporto è naturalmente in crisi, tra due aspettative e visioni di vita che non potrebbero essere più diverse; è un francescano odiato dai suoi colleghi più intransigenti per l’ostinata capacità di lettura dentro e fuori i fascicoli; è contemporaneamente il più brillante investigatore del suo corpo di polizia, il nume tutelare la cui sagacia e capacità contemporaneamente spaventano e servono ai suoi superiori. A onor del vero, visto che la scrittura è di qualità cristallina e il personaggio ha una tipizzazione molto puntuale e raffinata, editori nazionali e internazionali hanno annusato (tardivamente) le potenzialità enormi di quel ciclo letterario, anche dal punto di vista di vendite e consensi.

Ciò è avvenuto non solo perché autori più recenti, e di più immediata realizzazione commerciale (Stuart MacBride, Louise Welsh e Ian Rankin), sono scopertamente influenzati da McIlvanney, ma proprio perché il successo di Laidlaw è sopravvissuto, amplificandosi mano a mano, alla fine dell’esistenza terrena del suo autore e alla fine delle sue indagini e avventure. Rankin stesso, il migliore degli allievi indiretti, si è prestato a scrivere la seconda parte di un bozzetto incompiuto, Oscuri Resti, che con qualche rimaneggiamento ha il titolo sinistro di quando si scava nelle incompiute per riportarle a galla.

Fatto sta che questo scozzese in grado di citare Eschilo e Ovidio con appropriatezza filologica assoluta, come di stare ad osservare la fila di un concerto notturno in uno squat passando completamente inosservato o all’opposto facendosi notare da tutti, è l’emblema di un’identità storica del suo popolo che è stata sempre controvento. Fieramente europeista e contemporaneamente federalista, alla stregua del costituzionalista (e istituzionalista) Neil MacCormick, parlamentare europeo che manca moltissimo al dibattito d’aula di Bruxelles, profondamente solidarista e cattolico contro il lealismo finto-anglicano di laici che preferirono la religione di Stato alla libertà religiosa, legatissima all’etica del dovere: la meno coercibile delle virtù umane.

Se la Scozia ha effettivamente una gloria nazionale che fondi la sua idealità di frontiera, rispetto a corone e sirene che nei secoli la hanno concupita, una gloria tuttavia che diventa nel consumismo planetario anche prodotto da export, non sapremmo davvero dire se risuoni più nel nome della popolare birra di Glasgow che ingollano brutti ceffi e angeli innocenti nelle indagini di Laidlaw o forse proprio nei baffetti sottili dello scrittore che ha trasferito quel geniale ispettore dalla periferia oscura alla pagina gialla.

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