"Una suora all'inferno. Lettere dal carcere a suor Gervasia Asioli" a cura di Gabriele Moroni e Emanuele Roncalli, è la cronaca di un lungo abbraccio
Qualcuno lassù ci ama davvero, se insieme al cielo e alle altre stelle ci ha fatto dono di una piccola grande donna che in tanti (ma mai abbastanza) abbiamo avuto il privilegio di conoscere e abbracciare stretta stretta.
Il libro dedicato alla sorella orsolina suor Gervasia Asioli da Gabriele Moroni e Emanuele Roncalli, Una suora all’inferno. Lettere dal carcere a Gervasia Asioli (Marietti, 2025) è un documento di vita che arriva improvviso dopo anni dalla sua morte e ce la consegna in tutta la sua misericordia.
Le lettere sono testimonianze indirette che ricordano la vita di una persona a noi tutti carissima e amata per quella gioia capace di scardinare i luoghi più bui di una cella dove anche il più duro dei duri, appena la vedeva spuntare con un sorriso bonario seguito da rimproveri in veneto, si scioglieva come una caramella.
Era stata maestra elementare e il suo modo di guardarti e ascoltarti ti riportava sui banchi di scuola. Ascoltavi le sue avventure e poi aspettava il tuo, di racconto. Non lesinava rimproveri e ti affidava i compiti che erano raccomandazioni e preghiere da leggere sui libretti o sui santini di cui aveva, insieme alle caramelle, le tasche piene della sua veste di ordinanza.
Ne aveva per tutti, detenuti e agenti. E anche per chi, terrorizzato e poi mosso a compassione nel traffico romano, se la trovava in mezzo alla strada a fermare macchine per un passaggio fino al nuovo complesso delle carceri. Praticamente da piazzale Clodio, dove si trovava la casa delle suore orsoline, fino ad arrivare a Rebibbia significa dall’altra parte di Roma. Gervasia si era scelta anche il carcere più lontano e quello che aveva il numero più alto di detenuti.

Cercava di vedere tutti, qualsiasi fosse la storia che si sarebbe trovata davanti. Gervasia andava veloce, sicura e forte del suo grande amore Gesù. Ma io dico anche del suo carattere indomito, della sua tempra di donna sicura della sua scelta e di quella compassione di chi non vuole restare con le mani in mano, ma sa che deve agire.
Cerco di immaginare lo stupore di chi, invece di infilarsi la testa in un sacchetto di plastica e chiudere per sempre una vita ridotta a brutta pratica burocratica, si trovava l’autorevole tonaca svolazzante e i suoi occhietti azzurri vispi a rimproverarlo perché non si era ancora alzato dalla branda, non aveva mangiato e non voleva lavarsi.
Per coloro che aspettavano il suo arrivo significava sentirsi pensati, cercati in una giornata di carcere in cui i rumori dei cancelli e delle chiavi, le grida di chi è disperato e non sa a chi urlare se non alle pareti della sua cella, e dove sai che non staccherai da quel girone, improvvisamente sentivano in cuor loro di essere visibili e riconosciuti. Nel Male e nel Bene.
Perché Gervy, nella sua infinita bonaria comprensione, non faceva sconti. Ma ognuna delle persone che ha incontrato sapeva di aver trovato in lei una sorella di cui non conosceva l’esistenza. E in quella famiglia allargata non era più muto con sé stesso, poteva nominare i suoi demoni e tornare al tempo in cui aveva incontrato anche angeli.
Così, improvvisa, la speranza non restava solo una parola. La misericordia ancora una volta aveva visto lontano e per suo conto aveva scelto un’orsolina, Gervasia sorella di vita.
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