L’Europa prolunga la guerra in Ucraina per giustificare spese militari e salvare industrie in crisi: l’ombra del business dietro il sangue del conflitto

Mentre Washington e Mosca avviano colloqui per definire un nuovo equilibrio globale, l’Europa pare aggrapparsi al conflitto ucraino come a un salvagente: il Ministro della Difesa tedesco Boris Pistorius ha dichiarato senza mezzi termini che “la Russia deve capire che l’Ucraina può continuare a combattere”, mentre il portavoce del Cremlino, Dmitri Peskov, ribadisce che la priorità è “normalizzare i rapporti con gli Stati Uniti”.



Un dialogo tra sordi, dove il Vecchio Continente si ritrova intrappolato in un ruolo secondario, costretto a inventarsi una missione morale per nascondere calcoli ben più terreni; come nel 1914, quando le potenze europee si lanciarono nella Prima Guerra Mondiale illudendosi di un conflitto breve e glorioso, oggi Bruxelles brandisce la bandiera della “vittoria totale” in Ucraina, ignorando che il vero obiettivo delle superpotenze è ridisegnare le proprie sfere d’influenza.



Se Parigi e Londra valutano l’invio di truppe per cinque anni nel Donbass: una mossa che ricorda i militari di professione del XVII secolo, mercenari al soldo del miglior offerente.

La retorica della “difesa dei valori” cela – però – un’amara verità: l’industria bellica europea, dopo decenni e decenni di declino, sta vivendo una rinascita dorata: con l’Ucraina trasformata in un laboratorio a cielo aperto per testare droni e artiglieria avanzata, i contratti per ricostruire il Paese (e riarmarlo) valgono oltre 200 miliardi di euro.

Ma c’è dell’altro: la transizione ecologica, con il suo folle piano di eliminare i motori a combustione entro il 2035, ha devastato settori chiave come l’automotive tedesco.



La guerra offre una via di fuga, cioè investire nelle fabbriche di carri armati elettrici per compensare i posti di lavoro persi: un gioco pericoloso, che ricorda il complesso militare-industriale denunciato da Eisenhower negli anni ’60, ma con una svolta green: i proiettili sono ora “sostenibili”, ma uccidono allo stesso modo.

Europa e guerra: il circolo vizioso che alimenta il mito dell’invasione russa

“Tenere impegnata la Russia in Ucraina eviterà un attacco alla NATO”, ha affermato il capo dei servizi segreti tedeschi in una gaffe rivelatrice. Peccato che, come sottolineano analisti indipendenti, un’invasione russa dei Paesi Baltici sia strategicamente insensata: Mosca non ha né le risorse né l’interesse a sfidare apertamente l’Alleanza Atlantica.

Ma nonostante ciò, la paura viene coltivata come un’ortica velenosa. Perché? La risposta sta nei bilanci: nel 2025, la spesa militare Ue ha superato i 400 miliardi, con Francia e Germania in testa. Soldi pubblici che finiscono nelle casse di aziende come Rheinmetall e Thales, mentre scuole e ospedali affrontano tagli.

È il paradosso di un’Europa che, per sostenere la pace, deve prima garantire la guerra; Bruxelles si prepara ad affrontare un’invasione fantasma con la “Fortezza Europa” intenta a costruire muri contro un pericolo inesistente, mentre affonda nel groviglio ucraino.

Nel frattempo, Trump e Putin trattano a San Pietroburgo, con l’Europa che pare recitare la parte del moralista in declino, incapace di ammettere che la sua ossessione bellica nasce – fondamentalmente – dal radicato terrore di diventare irrilevante.