LIBERTÀ O BENESSERE, IL DILEMMA DELLA MODERNITÀ: PARLA IL DIRETTORE DEL CENSIS
Papa Francesco nel recente “Regina Coeli” del 29 maggio lo diceva con chiarezza: «la presenza di Cristo non limita la libertà dell’uomo […] il vero amore genera sempre una vicinanza che non schiaccia, non è possessivo, è vicino ma non possessivo; anzi, il vero amore ci rende protagonisti»: guardando la modernità e il suo dilemma forse più grande sul fronte sociale-politico-economico – meglio il benessere o la libertà – vengono affrontati in un bell’editoriale su “L’Avvenire” dal direttore generale del Censis Massimiliano Valeri.
L’umanità vuole essere libera o è pronta a “barattare” la piena libertà con un po’ di benessere e “pace” (intesa più come distacco dai problemi che non come piena serenità)? «Oggi soltanto il 20% della popolazione del pianeta gode di una piena libertà», spiega il direttore citando le percentuali specifiche dei vari continenti, 7% Africa, 5% Asia, 4% Medio Oriente, addirittura 0% per le repliche ex sovietiche. «Nel tempo le cose peggiorano, anziché migliorare. Dall’inizio degli anni 2000, il numero dei paesi che arretrano nel garantire il rispetto dei diritti civili e delle libertà politiche supera ogni anno il numero di quelli che avanzano», scrive ancora Valeri indicando per l’Occidente i diversi campanelli d’allarme in arrivo specialmente da Cina e Russia. Il motivo è presto che spiegato dal direttore del Censis sull’Avvenire: il progetto di libertà occidentale «ha cominciato a scricchiolare quando non è stato più in grado di soddisfare le aspettative soggettive come in passato e si è rivelato incapace di mantenere le promesse di benessere». E così, quello stesso benessere invece che rimanere ancorato a doppio filo al concetto di libertà, lentamente si è “separato” creando problemi non da poco per le democrazie tendenzialmente “libere”.
“DALLA CINA ALLA RUSSIA, ALL’OCCIDENTE NON BASTA LA CRESCITA PER ESSERE LIBERI”
Secondo il direttore generale del Censis, la Cina più di tutti ha ottenuto negli ultimi 50 anni avanzamenti sociali velocissimi, aumentando Pil e benessere dello Stato a dismisura: eppure, «in Cina il potere è in mano a un regime autoritario e illiberale».
Se ne trae dunque, osserva ancora Valeri, come la crescita economica e il miglioramento delle condizioni sociali non siano per forza correlati con un maggiore grado esistenze di libertà: ma allora, si chiede Massimiliano Valeri (e non solo lui), «a cosa serve la libertà se una società può stare meglio anche senza essere libera?». Dopo le crisi Covid, guerra ed energia, ciò che è chiamato l’Occidente nei prossimi decenni è qualcosa sul quale forse si deciderà lo sviluppo o meno del benessere nei tempi a venire: «le società aperte dell’Occidente dovranno misurarsi con questo interrogativo lacerante. Insinuandosi come un tarlo nelle coscienze, il dubbio può corrodere il loro basamento, vale a dire l’idea che la libertà sia l’elisir più prezioso, essenziale, indispensabile per l’emancipazione umana, per accrescere la prosperità degli individui e le fortune dei popoli». Dal pericolo della Cina alla Russia, l’alternativa illiberale che preoccupa e non poco il mondo libero occidentale: «A quel popolo non è da- ta né la prospettiva della libertà, né il risarcimento di un benessere accresciuto. Allora non rimane che instillare nell’immaginario collettivo una narrazione ingannevole: quella del nazionalismo imperialista, l’illusione di essere eletti a un primato egemonico, dunque la legittimazione della violenza sanguinaria affinché quel supposto destino si compia», denota in chiusura il direttore del Censis.