Dopo la Siria tocca all’Iran? Secondo molti analisti, l’obiettivo finale dell’operazione che ha fatto cadere Assad è cambiare il regime a Teheran, modificando così sostanzialmente la geopolitica di tutto il Medio Oriente. Un cambiamento, però, spiega Rony Hamaui, docente di scienze bancarie all’Università Cattolica di Milano ed esperto di economia e finanza islamica, che non è ancora dietro l’angolo, anche se si può già parlare, per certi aspetti, di un nuovo corso della politica iraniana. Il regime ha capito benissimo che si è entrati in una nuova fase, tanto è vero che si è mostrato disponibile a un negoziato con Trump per un accordo sul nucleare che riduca le sanzioni contro gli ayatollah. Certo, con la caduta di Assad la sua influenza sulla regione non è più quella di prima, ma l’Iran è ancora un attore importante nell’area, forte anche dei rapporti con Russia e Cina.
Come influisce la caduta di Assad sulla presenza iraniana in Medio Oriente? Il regime di Teheran ora è a rischio?
I colpi subiti da Hezbollah e la caduta di Assad indeboliscono l’espansionismo iraniano, però non credo che vadano ancora a toccare il cuore del regime. Bisogna vedere come si evolverà la situazione in Siria: ci sono possibili effetti di contagio, però siamo di fronte a contesti diversi, anche perché il nuovo corso siriano è sunnita e l’Iran sciita. Il regime di Teheran, comunque, vede indebolita la sua immagine internazionale ma anche locale, il che in quest’area conta. La percezione dei Paesi arabi è oggettivamente cambiata: la Siria è uno snodo cruciale, e quello che è successo potrebbe avere conseguenze sui Paesi vicini. Qualcuno pensa alla Giordania, altri all’Iraq, ma non credo che si possa ancora ipotizzare una caduta del regime iraniano.
Teheran, comunque, vive obiettivamente un momento difficile non solo per questioni geopolitiche. Da cosa dipende?
La situazione economica e quella dei diritti umani sono molto difficili. L’Iran, che non è un Paese arabo, ha tassi di natalità molto più bassi rispetto al resto del Medio Oriente. Siamo sotto i due figli per donna, un numero quasi da Stato occidentale.
L’Iran come ha reagito alla caduta di Assad?
Ha fatto buon viso a cattivo gioco, come i russi. Non poteva fare altrimenti: con l’esercito siriano che, di fatto, non ha combattuto, l’Iran da solo non poteva contrastare i ribelli. Ha preso atto della caduta di Assad. Da mani sciite la Siria è passata a mani sunnite: questo è il dato oggettivo e, per gli iraniani, è evidentemente un problema. Inoltre, ora manca un canale di trasmissione con Hezbollah: una doppia sconfitta.
Un Iran più debole potrebbe essere più facilmente oggetto di un attacco israeliano?
Il regime iraniano è consapevole della sua debolezza e le aperture che ha fatto nei confronti di Trump in questi mesi sono abbastanza chiare: è pronto a sedersi a un tavolo per discutere del nucleare e delle sanzioni. Credo che il pallino non sia totalmente in mani israeliane, ma principalmente in mani americane. Dipenderà da quello che vorrà fare il nuovo presidente USA. Certamente, la sconfitta di Hezbollah è stato un elemento importante e gli israeliani hanno anche distrutto le armi che c’erano in Siria: parecchie erano russe, ma ce n’erano anche molte iraniane.
Trump, prima che esplodesse la crisi siriana, aveva annunciato nuove sanzioni contro l’Iran. È più facile che pensi a una nuova guerra commerciale, piuttosto che a una condotta dal punto di vista militare?
Non credo che voglia entrare in guerra con l’Iran. Il suo metodo di discussione, però, è sempre basato sui rapporti di forza. Che si parli di tariffe o di dazi, fa così. Quando si siede per trattare, “appoggia la pistola sul tavolo” e poi si mette a trattare.
Visto che l’asse della resistenza che passava da Libano e Siria ha subito gravi danni, l’Iran cercherà di ricostruirlo oppure penserà a difendersi in un contesto obiettivamente più negativo di prima per i suoi interessi?
Il regime iraniano si è mosso in maniera avveduta: ha cercato di riallacciare i rapporti con il mondo sunnita, con l’Arabia Saudita, e per certi versi ci è riuscito. I rapporti con Cina e Russia sono rimasti molto forti. Non è uno Stato isolato, non è l’Afghanistan. La mano tesa a Trump significa che sanno che lo scacchiere è cambiato e si adegueranno alla nuova situazione.
Sullo sfondo c’è sempre la questione decisiva di chi sarà il successore di Khamenei, la guida spirituale del Paese. Cosa si può ipotizzare da questo punto di vista?
La successione è già molto avanti, anche perché Khamenei entra ed esce dall’ospedale ogni settimana e gli iraniani sanno benissimo che va preparata e gestita. Credo che l’Iran cambierà strategia, lo ha già fatto e la cambierà ancora. Il processo di successione, anche se non lo vediamo apertamente, di fatto c’è già.
Il regime di Teheran ha comunque grossi problemi dovuti alle sanzioni: quanto incidono?
Mi raccontava un amico iraniano che, se qualcuno vuole una Maserati, in cinque giorni a Teheran gliela fanno avere. Costa tre volte di più che sul mercato internazionale, però c’è chi ce l’ha. E lo stesso vale per l’ultimo modello della BMW. Passa per Dubai o un Paese del Golfo, ma arriva. A dispetto delle sanzioni. A Teheran sono nati anche residence di super-lusso. In una situazione di alta inflazione, la ricchezza porta ricchezza, la povertà porta povertà. In Iran è particolarmente vero.
Se arrivassero ulteriori sanzioni, la situazione diventerebbe insostenibile?
Sì, anche se la nuova strategia degli iraniani è dovuta al fatto che il mondo è cambiato e loro capiscono che, continuando così, non riusciranno a resistere a lungo. Non cadranno adesso, ma non resisteranno così. Il cambio di regime è già in atto: bisognerà vedere se sarà graduale, portato avanti dalle élite locali oppure se avverrà attraverso una rivoluzione violenta. Il secondo scenario non è per domani mattina. E molto dipenderà dall’atteggiamento di Trump.
(Paolo Rossetti)
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