LILIANA SEGRE, ARRESTATA A 13 ANNI E DEPORTATA AD AUSCHWITZ…
Liliana Segre, senatrice a vita, ha alle spalle un passato terribile e complicato. Venuta alla luce il 10 settembre 1930 a Milano, in una famiglia di discendenza ebraica, perse la madre, Lucia Foligno, quando lei non aveva ancora compiuto neppure un anno. Da bambina comprese di essere ebrea vivendo il dramma delle leggi razziali fasciste del 1938, in seguito alle quali venne espulsa dalla scuola che frequentava. Erano gli anni delle persecuzioni ai danni degli ebrei italiani e il padre la nascose da alcuni amici con documenti falsi, fino al 10 dicembre 1943, quando Liliana Segre, il padre e due cugini, tentarono la fuga a Lugano, in Svizzera, venendo tuttavia respinti dalle autorità elvetiche.
Trascorsero 24 ore e la giovane Liliana Segre, a soli 13 anni, fu arrestata a Selvetta di Viggiù: trascorse sei giorni in carcere a Varese, quindi venne trasferita a Como e poi a San Vittore (Milano). Dopo 40 giorni dietro le sbarre nel capoluogo lombardo, il 30 gennaio 1944 fu deportata dal binario 21 della stazione di Milano Centrale al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, che raggiunse dopo sette giorni di viaggio, venendo separata dal padre, che non rivide mai più e che poi morì il 27 aprile 1944.
LILIANA SEGRE, LA SUA TESTIMONIANZA: “ERO UN ANIMALE FERITO”
Nel lager più celebre della storia, Liliana Segre si vide assegnare il numero di matricola 75190, che le fu tatuato sull’avambraccio. All’epoca era un’adolescente e venne messa i lavori forzati per un anno presso la fabbrica di munizioni Union, appartenente alla Siemens. Alla fine di gennaio del 1945, dopo l’evacuazione del campo, affrontò la marcia della morte verso la Germania. Fu liberata il 1º maggio 1945 dal campo di Malchow, un sottocampo del campo di concentramento di Ravensbrück: fu una dei 25 bambini italiani sopravvissuti all’orrore nazifascista (su 776).
“Era molto difficile per i miei parenti convivere con un animale ferito come ero io – ha dichiarato successivamente Liliana Segre –. Ero una ragazzina reduce dall’inferno, dalla quale si pretendeva docilità e rassegnazione. Imparai ben presto a tenere per me i miei ricordi tragici e la mia profonda tristezza. Nessuno mi capiva, ero io che dovevo adeguarmi ad un mondo che voleva dimenticare gli eventi dolorosi appena passati, che voleva ricominciare, avido di divertimenti e spensieratezza”.