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Home » Quelle dell’Economist sono le critiche di chi vuole un’Italia debole

Quelle dell’Economist sono le critiche di chi vuole un’Italia debole

Renato Farina
Pubblicato 13 Giugno 2008
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L’attuale clima politico italiano corrisponde alle esigenze di una risposta alle emergenze educative ed esistenziali denunciate dal Papa e dal presidente Napolitano, oltre che da personalità sensibili al destino del nostro popolo e della sua gioventù

L’Economist ieri ha attaccato il clima politico di dialogo instauratosi in Italia tra maggioranza e opposizione, criticando Veltroni per indurlo a mutare rotta. Il settimanale britannico conferma così la sua natura di organo ufficioso di una potenza straniera con foschi disegni sull’Italia. Ha una singolare capacità di attrazione e di ispirazione tra gli adepti alla religione giacobina che vorrebbe dare tutto il potere ai giudizi e ai finanzieri internazionali.

E dire che gli asini parlano di interferenze vaticane, allorché il Papa e i vescovi esprimono giudizi su questioni essenziali riguardo alla vita umana, all’educazione e alla famiglia. Costoro – ahimè presenti anche sordamente nel Popolo della libertà e nella Lega – dimenticano che la Chiesa è per sua natura e per evidenza storica non una forza esterna ma addirittura intima alla coscienza e all’esperienza del nostro popolo. Il giudizio di Benedetto XVI sull’attuale stato della politica in Italia, espresso con la parola “gioia”, è oggi fondamentale per capire come quello che sta accadendo nel nostro Paese non è semplicemente una faccenda di bon ton, o una tattica propagandistica, o il risultato di simmetrici meschini interessi di destra e sinistra, ma corrisponde alle esigenze di una risposta alle emergenze educative ed esistenziali denunciate dal medesimo Papa e dal presidente Napolitano oltre che da personalità sensibili al destino del nostro popolo e della sua gioventù. L’Economist non vuole, non ama questa collaborazione tra famiglie spirituali e politiche diverse e anche in contrasto su cento cose, ma d’accordo sulle due o tre cose senza cui la barca va a fondo mentre i suoi ospiti cercano di affogarsi reciprocamente.

Contrastare questo clima, che non è affatto inciucesco ma semplicemente responsabile, è deleterio non solo per i lavori del parlamento ma per i riflessi sulla vita comune degli italiani. La guerra civile verbale e mentale ha segnato il passo: trovare nella cosiddetta autorevole stampa straniera i cultori nostalgici di un’epoca di delegittimazione reciproca tra avversari è una scoperta amara ma non proprio sorprendente.

Uno si domanda: perché? Basta fare quattro passi indietro. Inizi degli anni ’90. Allora come oggi l’Economist applica la sua sempiterna gerarchia di valori: sono bravi e buoni quanti demoliscono le strutture economiche e le certezze ideali del nostro popolo, creando demoralizzazione e sfinimento. Quindici anni fa l’Economist aveva per corrispondente da Roma Tana De Zulueta, sostiene l’antipolitica, ed è ascoltatissimo dai quotidiani come Corriere, Repubblica e Stampa. Appoggia senza se e senza ma l’azione di Di Pietro e di Mani pulite. Dopo qualche anno troveremo la De Zulueta in Senato con l’Ulivo, sempre in prima linea nella decorticazione morale dell’avversario. La Zulueta si è spostata rapidamente sulle posizioni giustizialiste alla Travaglio, per finire poi non rieletta quest’anno nella Sinistra avversa a Veltroni, a D’Alema e al Pd. La linea dell’Economist è in modo meno rupestre la stessa di Di Pietro. Impedire che ci sia pace in Italia. Insomma: l’Economist ha per filosofia una morale identica agli interessi della finanza internazionale, con base a Londra ma con importanti sodali a Milano e Roma. Essa vuole un’Italia debole e in caduta libera per candidare, come unico soggetto politico capace di risanare l’economia e di restituire credibilità al governo, la grande finanza e i suoi professori e tecnici.

L’Economist accusa per questo motivo Veltroni di “opposizione fantasma”, di essere troppo “carino” con Berlusconi. Non vuole tanto costringerlo a cambiare posizione, ma sfiduciarlo come traditore del patto e da cui nacque il Partito democratico e che ebbe in De Benedetti il socio fondatore. Non a caso viene attaccato anche Rutelli. Nel concreto oggi l’ideale sarebbe stato, anche sul prestito all’Alitalia, l’ostruzionismo insultante praticato dall’Italia dei Valori di Di Pietro. Chiari gli interessi: azzoppare l’Italia costringendo Alitalia a chiudere i battenti. Come al solito usando un piglio da colonizzatori in divisa kaki che vogliono insegnarci la morale per derubarci meglio.


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