Misterioso. Enigmatico. Guru. Illuminato. Oscuro. Burattinaio. Visionario. Selettivo. Geniale. Elitario. Populista elitario.
Questi, messi in fila alla rinfusa, sono gli aggettivi dedicati a Gianroberto Casaleggio nell’ora della sua morte. A nessuno, proprio a nessuno, è venuto in mente di qualificarlo grillino.
Buon segno questo: significa certo che lui non era un numero della massa, e che era senza padrone, ma soprattutto che nessuno si esaurisce nella compagnia politica di cui fa parte, neppure l’inventore della più grande novità politica europea del nuovo millennio coincide con l’ideologia da lui creata.
Chi scrive non vuole qui fare l’esame del sangue alle idee dei discorsi, dei libri e dei film di Casaleggio. Quelle idee mica sono morte, e dureranno assai. Forse purtroppo, ma sono delle costanti nella storia del pensiero politico. Non hanno bisogno di rievocazioni perché sono inestirpabilmente vecchie con uno spruzzo di gassosa post-moderna. In sintesi le definirei panteistiche, dove Dio coincide con il tutto; ma il tutto non è quello dei verdi o della new age, ma è la rete fatta coincidere con il popolo. Una sorta di post-mazzinianesimo. Invece di vox populi vox Dei, siamo al vox populi retis vox Dei.
Qualcuno ha sostenuto che alla fin fine Casaleggio si identificasse con il web = rete dunque con Dio. Ma non è vero. Egli sfuggiva alla rete che pure venerava, perché nessun uomo è un pezzo di rete, o un pezzo di popolo, ma è un unicum, in fondo irriducibile a un voto, un’opinione, una politica. E mi pare che la forma della sua esistenza stia lì a documentarlo.
Non era un fighetto. Non si compiaceva di essere il potente dietro il paravento. Era consapevole, con quel suo modo di (non) apparire, che c’è un fondo di noi, un (pro)fondo della vita, che non è sociale. È l’io che cerca Dio, la felicità per sé e per tutti.
Tutto questo, è ovvio, vale per tutti, e tale verità riluce sempre, solo che si sfugga alla banalità, quando un uomo muore e non può più votare né esprimere un’opinione. Ma in Casaleggio questa unicità è chiara come il sole, anzi come la luna, dato che era uomo più lunare che solare. Le sue interviste sono state rare, i suoi interventi pubblici senza nessun ritmo teatrale, sciapi, privi di brillantezza. Eppure risentendolo si percepisce perché lui e Grillo erano fraterni amici. Uno il contrario dell’altro ma con un bisogno di purezza, anzi di purità immensa.
Quel nome che Casaleggio si è tenuto stretto, Gianroberto, esprime molto dell’inattualità di un pensatore che pareva proiettato solo sul futuro. Non è un nome aerodinamico, smart, rock, Gianroberto, ora che hai finito di pronunciarlo hai perso un tempo di gioco e questo nel calcio cioè nella frenesia del 2016 non funziona.
“Gianroberto” ha radici ed echi antichi, ancorati a una nostalgia di amore materno e paterno. Qualcosa che si ritrova in lui, quando, contro l’ideologia grillina che è contro il principio di eredità, rifiuta patrimoni di tradizione, ha lasciato tutto al figlio, molto borghesemente e molto italianamente. Molto diverso dagli eroi del web che preferiscono lasciare tutto a fondazioni per non far partire i figli da zero, e costringerlo a temprarsi nella lotta a mani nude.
Misterioso, paterno.