Tra Norvegia e Svezia, due differenti modelli di lotta alle droghe: quale funziona meglio tra repressione dura e integrazione sociale
In un Italia – e in realtà in buona parte dell’Europa – dove il tema della lotta alle droghe è sempre più polarizzato tra chi crede che l’unica via sia quella del proibizionismo e chi vorrebbe la legalizzazione di ogni sostanza non sia classificabile come “pesante”, l’esempio della Norvegia (e a cascata quello della Svezia) sembra essere una sorta di faro acceso nella notte, utile affinché si possano sviluppare strategie funzionali a un potenziale problema sociale.
Prima di arrivare all’esempio della Norvegia nella lotta alle droghe, è utile ricordare brevemente il caso della Svezia che sembra aver visto nell’ultimo periodo una vera e propria escalation di violenza urbana legata proprio al (certamente florido) mercato degli stupefacenti: la reazione – forse ovvia – di Stoccolma è stata quella del pugno duro, con un maggior dispiegamento di forze armate nelle strade.
Un modello che – per ora – non sembra aver dato particolari frutti perché mentre la dura lotta alle droghe della Svezia continua, ci sono veri e propri quartieri in cui i tassi di criminalità legata agli stupefacenti sono in fortissimo aumento: l’esempio lampante è quello di Uppsala in cui sono le bande armate a controllare interi quartieri, con una sempre più crescente disaffezione nei confronti delle autorità costituite.
Il modella della Norvegia per la lotta alle droghe: il governo investe sulla dignità sociale dei giovani a rischio
Proprio tenendo a mente il caso – forse limite, ma che sembra estendersi anche alla vicina Danimarca -, possiamo tornare all’esempio della Norvegia che ha scelto una via più “pacifica” per gestire la lotta alle droghe: tanti anche alle porte di Oslo i quartieri in cui il consumo di stupefacenti è in forte aumento, ma girando per le strade difficilmente ci si imbatte in agenti armati, militari e cani antidroga.

La via scelta da Oslo per la lotta alle droghe è, infatti, quella dell’ascolto attivo dei giovani che si trovano – spesso, ma non sempre – invischiati in un mondo al quale non appartengono veramente: il governo, infatti, ha istituto quello che definisce un “Servizio estero” gestito da volontari che quotidianamente per le vie difficili di Oslo ascoltano i loro problemi e offrono vie alternative a quelle del carcere; di per sé poco funzionale per allontanare i giovani dalla criminalità.
Grazie ai volontari – reale fulcro della lotta alle droghe – i giovani ricostruiscono progressivamente le loro connessioni sociali, si avviano al mondo del lavoro e provano a rimettersi in piedi: un vero e proprio modello basato sul sociale e non sulla repressione, i cui frutti sembrano essere già tangibili e che – forse – potrebbe diventare il punto di inizio di una nuova strategia nel nostro paese; oppure magari nell’intera Europa.
