La richiesta della pm Bondi sulla pena di morte per Luigi Mangione, accusato dell'omicidio del CEO di UnitedHealthcare, riaccende il dibattito negli USA
Un evento che ha scosso l’opinione pubblica americana, un omicidio che ha alimentato il dibattito sulla giustizia e sulla pena capitale: la vicenda di Luigi Mangione, giovane italoamericano accusato di aver assassinato il CEO di UnitedHealthcare, Brian Thompson, si è trasformata in un simbolo del confronto tra chi invoca il pugno di ferro contro il crimine e chi denuncia l’uso strumentale della giustizia per fini politici.
Delle ultime ore è la decisione della procuratrice generale degli Stati Uniti, Pam Bondi, di richiedere la pena di morte per Luigi Mangione Mangione, proposta che ha riacceso antiche tensioni, richiamando alla mente casi controversi del passato in cui la giustizia si è trovata al crocevia tra vendetta e deterrenza.
“L’omicidio di Brian Thompson è stato un’esecuzione a sangue freddo che ha scioccato l’America”, ha dichiarato Bondi, evidenziando come l’amministrazione Trump stia perseguendo una politica di intransigenza assoluta nei confronti del crimine violento, a cui la difesa di Luigi Mangione ha risposto bollando immediatamente la decisione come una scelta “barbara” e accusando il governo di voler trasformare un processo in uno spettacolo mediatico per rafforzare il consenso su una pena che in molti Stati americani viene ormai messa in discussione.
Ma chi è davvero Luigi Mangione? E cosa ha portato un giovane di 26 anni a macchiarsi di un crimine tanto efferato? La risposta, come spesso accade in vicende di tale portata, si annida nelle pieghe di una storia personale tormentata, tra ossessioni, rancori e una
disperazione che ha trovato sfogo nella brutalità di una violenza estrema.
Luigi Mangione, dal delitto alla caccia all’uomo: il caso che divide gli Stati Uniti
La dinamica dell’omicidio di Brian Thompson sembra la sceneggiatura di un thriller cupo, un’esecuzione premeditata che ha fatto rabbrividire l’opinione pubblica per la sua freddezza e determinazione, quando il 4 dicembre, una mattina come tante nel cuore di Manhattan, Thompson, ignaro di ciò che lo aspettava, si avvicinava all’Hotel Hilton Midtown per partecipare a una conferenza sugli investimenti della sua società assicurativa UnitedHealthcare e, in un attimo, si consuma la tragedia: un uomo gli si para davanti, estrae un’arma e spara senza esitazione, uccidendolo sul colpo.
Subito dopo l’assassino si dilegua, dando inizio a una caccia all’uomo durata cinque giorni, che ha visto le forze dell’ordine inseguire Luigi Mangione Mangione tra New York e la Pennsylvania, fino alla sua cattura in un McDonald’s di Altoona; nel suo zaino sono stati ritrovati una pistola compatibile con quella usata per il delitto e un taccuino pieno di invettive contro l’industria assicurativa, il che ha alimentato ipotesi sul movente, cioè se questo fosse frutto di un gesto di vendetta personale, di un attacco politico o piuttosto un atto di disperazione.
Luigi Mangione è stato incriminato a livello federale a dicembre per stalking e omicidio, e la procura dello Stato di New York lo ha inoltre accusato di omicidio di primo grado con finalità di terrorismo; mentre Luigi Mangione si è dichiarato non colpevole per tutti i reati a lui contestati, la scelta di procedere con un’accusa federale, anziché limitarsi ai reati contestati dallo Stato di New York, non è un dettaglio di poco conto, ma rientra in una precisa strategia politica dell’amministrazione Trump, che ha fatto della pena di morte una bandiera del proprio programma di “legge e ordine”.
L’accanimento con cui il Dipartimento di Giustizia ha richiesto la pena capitale, nonostante il sistema giudiziario statale non la preveda per questo caso, solleva interrogativi inquietanti sulla natura della giustizia nell’America di oggi: si tratta davvero di una punizione proporzionata all’atrocità del crimine, o è piuttosto un monito politico, un messaggio indirizzato all’elettorato conservatore che vede nella pena di morte la massima espressione della deterrenza?
Il presidente Trump ha più volte ribadito che la sua amministrazione non avrebbe esitato a ricorrere alla pena capitale per reati gravi, in particolare nei casi di terrorismo e crimini efferati, ma la storia americana dimostra che l’uso della pena di morte è spesso stato più un mezzo per rafforzare posizioni politiche che una reale necessità per la sicurezza pubblica, e il caso, dunque, potrebbe essere più di un semplice processo giudiziario; potrebbe infatti diventare l’ennesimo tassello in un mosaico più ampio, quello della polarizzazione politica che sta lacerando il Paese.
Mentre Luigi Mangione resta in custodia nel Metropolitan Detention Center di Brooklyn, la sua squadra legale combatte contro una macchina giudiziaria che sembra volerlo condannare ancor prima che un verdetto venga emesso; la pena di morte – richiesta a gran voce dalla procura federale – riporta a galla interrogativi antichi sul ruolo della giustizia, se essa sia finalizzata alla punizione o piuttosto alla redenzione e, soprattutto, quanto pesa davvero il clima politico sulle sentenze che dovrebbero restare solo materia di legge.
