Il presidente del Brasile Lula non intende trattare con Trump sui dazi: verranno convocati i BRICS che decideranno come agire congiuntamente

Tra i tanti attori internazionali che si trovano a fare i conti con i dazi di Donald Trump, il Brasile guidato da Luiz Inacio Lula da Silva è quello che dovrà pagare (almeno sulla carta) il prezzo maggiore, con una delle tariffe più alte tra tutte quelle che sono state decise dal tycoon ma che – a differenza di quanto accaduto in buona parte del resto del mondo – non hanno spinta l’ex sindacalista brasiliano a trattare con l’omologo statunitense.



A dirlo è stato lo stesso Lula in un’intervista recentemente rilasciata a Reuters, ma prima di arrivare alle sue parole è utile fare un passetto indietro per dire che i dazi inflitti da Trump al Brasile sono pari al 50%: una cifra apparentemente smisurata – specialmente perché non ci sono reali barriere commerciali alle merci statunitensi che arrivano sul mercato brasiliano -, ma attutita dalle esenzioni che interesseranno merci come gli aerei, l’energia elettrica e il succo d’arancia.



Peraltro, il Brasile di Lula – anche al centro di un piccolo boom economico dopo il duro periodo di Bolsonaro al comando – è un’economia scarsamente incentrata sulle esportazioni, specialmente se guarda a quelle dirette negli USA: complessivamente, infatti, verso Washington vengono esportate appena il 12% delle merci brasiliane vendute all’estero e – aggiungendo le esenzioni – le tariffe finiranno per ricadere su circa il 36% del valore dell’export verso il suolo statunitense.

Da Lula nessuna resa ai dazi di Trump: “Rafforzerò le imprese brasiliane e discuterò di contromisure con i BRICS”

Mettendo assieme tutti questi aspetti prettamente economici, sarà decisamente più facile capire perché – parlando, appunto, con Reuters – Lula ha affermato di non avere alcuna intenzione di trattare con Trump sui dazi, ritenendo l’eventuale trattativa una vera e propria “umiliazione“; specialmente dopo quanto accaduto nei mesi scorsi durante gli incontri – prima – con Zelensky e – poi – con il sudafricano Ramaphosa.



Il residente americano Donald Trump (al centro). A sin., il vicepresidente JD Vance (Ansa)

Solamente nel momento in cui “il mio intuito mi dirà che Trump è pronto a parlare”, Lula sarà disposto ad alzare il telefono per trattare, ma senza alcuna reale fretta; specialmente perché secondo il brasiliano la ragione di dazi così tanto alti è legata soprattutto – e l’ha detto lo stesso tycoon – alle ingerenze del presidente USA sul processo a carico dell’ex presidente Jair Bolsonaro: secondo Lula resta fermo che la Corte suprema “non si preoccupa di quello che dice Trump”, oltre al fatto che “non [può pensare] di dettare le regole in un paese sovrano“.

Per affrontare i dazi, Lula intende ora rafforzare la sua politica economia interna con una serie di misure a favore delle imprese e dell’apertura verso altri mercati esteri; mentre presto intende anche convocare i colleghi dei paesi BRICS – soprattutto “India e Cina” – per trovare possibili risposte congiunte ai dazi, avanzando anche l’ipotesi di presentare un esposto all’Organizzazione mondiale del commercio affinché valuti l’operato di Trump.