MALATI GRAVI/ “Difesa della vita e interruzione delle cure, ecco quando tocca a noi”

- Alessandro Pirola

Anche la Chiesa cattolica dice che le cure si possono interrompere se proporzionate, ma non dice quali sono.  Occorre il discernimento

coronavirus senso del gusto stefania giardoni (LaPresse)

Gentile direttore,
l’adeguatezza delle cure intensive a malati gravi, cronici o degenerativi è argomento assai delicato e complesso in cui sono implicate valutazioni di diversa natura. Ci sono principi indiscutibili: la vita va sempre difesa proprio perché uno non se la attribuisce da solo; le cure sono sempre dovute per quel principio di solidarietà umana senza del quale la vita finirebbe; le risorse vanno reperite e spese per sostenere innanzitutto la vita; la speranza non va mai soppressa essendo il motore della vita.

La declinazione nei casi specifici di questi principi implica l’esercizio di una responsabilità e di una scelta da parte di chi è coinvolto nella situazione. Quando un caso del genere arriva nelle stanze di un tribunale o sulle colonne di tutti i giornali è messo a dura prova il ponderato esercizio di una tale responsabilità. Per una serie di circostanze, nei quasi quarant’anni di vita professionale, mi è capitato diverse volte di vedere da vicino il maturare di decisioni che riguardano le cure in questione: per una trentina d’anni ho amministrato una struttura sanitaria con reparti di emodinamica, di cardiochirurgia e di terapia intensiva; da vent’anni a questa parte amministro luoghi di cura con Hospices, nuclei per stati vegetativi e cure palliative domiciliari anche per minori gravi.

Mi è sempre stato di aiuto il canone 2278 del Catechismo della Chiesa cattolica, che non smette mai di sorprendermi e che ho avuto modo di vedere utile per molte persone implicate in situazioni complesse. Lo riporto integralmente: “L’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all’accanimento terapeutico. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire.” […..]

Quali siano le cure interrompibili nemmeno il catechismo lo dice; indica però due criteri: la proporzione ai risultati attesi ed il legittimo esercizio di una valutazione sul singolo caso. Questi due criteri sono quotidianamente applicati ovunque in migliaia di famiglie e di casi clinici. La loro corretta applicazione è favorita da una conoscenza dettagliata del caso specifico e da una grande e realistica affezione alla propria vita da parte dei famigliari e dei professionisti implicati: in nessun caso è risparmiato il dolore. Persone, professionisti, organizzazioni e Stati che generano luoghi umani di cura per malati gravi e gravissimi sono di grande conforto.

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