Non si sa ancora quando il disegno di legge di bilancio arriverà in Parlamento. Il termine era il 22 ottobre. A oggi, deputati, senatori, consiglieri parlamentari, dirigenti e funzionari dei Ministeri, giornalisti e «il colto e l’inclito» in generale auspicano – pare che siano state anche organizzate pure novene in luoghi di culto non distanti dai Palazzi della politica – che il documento sia pronto e pubblico prima del lungo fine settimana di Ognissanti in modo da poter dedicare i tre giorni a studiarlo. Con tanti ritardi, sembra ormai inevitabile un «esercizio provvisorio», che farebbe scattare, almeno per qualche giorno, le clausole di salvaguardia relative all’Iva, oppure un rush finale durante le feste natalizie per giungere all’approvazione la notte di San Silvestro.
In tale bailamme, che rispecchia sia una maggioranza diversificata con idee, priorità e soprattutto elettorati molto differenti, sia la pletora di consiglieri ed esperti che, a vario titolo, affollano i Ministeri (mai se ne erano visti tanti dalla nascita della Repubblica, ma ciascun partito o movimento ha tante famiglie da prebendare), è difficile analizzare gli aspetti della manovra di bilancio che non siano puramente quelli di finanza pubblica a carattere macroeconomico (quali il deficit, il debito e simili).
Tuttavia, c’è un paradosso che salta all’occhio sia nel testo approvato salvo intese, sia in quanto trapela da dichiarazioni di questo e di quello: nonostante il gruppo parlamentare di maggioranza relativa, il Movimento 5 Stelle, sia stato eletto nel Mezzogiorno, non c’è alcuna politica, programma o misura per il Sud e le Isole. Nella precedente Legge di bilancio c’era un provvedimento chiave: il reddito di cittadinanza. L’attuazione di tale provvedimento è incagliata proprio del Mezzogiorno dove la fase di politica attiva del lavoro tarda a salpare e molti assegni rischiano di venire annullati, e di dovere essere rimborsati all’Inps, per mancanza dei requisiti auto-dichiarati.
Il 24 ottobre, un’intervista a questa testata del direttore del Quotidiano del Sud dipinge a forti tinte la situazione drammatica del Sud e delle Isole. Ancora più drammatico il rapporto della Fondazione Migrantes pubblicata la settimana scorsa – e la manifestazione pubblica organizzata il 25 ottobre dai Vescovi di Palermo e di Monreale: l’emigrazione, non solo di talenti ma anche di famiglie in cerca di decenti condizioni di vita, non prevalentemente verso il Nord dell’Italia, ma anche verso l’estero (soprattutto la Germania), sta raggiungendo dimensioni analoghe a quelle degli anni immediatamente successivi alla Seconda guerra mondiale. Un fenomeno che dovrebbe preoccupare tutti, soprattutto deputati e senatori (in gran parte targati M5S) eletti nel Mezzogiorno.
A questi rilievi, quando si parla con alcuni degli “eletti” summenzionati, viene risposto che con qualche aggiustamento il reddito di cittadinanza funzionerà aumentando la domanda aggregata (e, quindi, la produzione e l’occupazione nel Sud e nelle Isole) e indicando un elenco di investimenti pubblici (tra i 77 del decreto «sblocca cantieri») nel Mezzogiorno. Non si fa riferimento a casi come il futuro degli stabilimenti Whirlpool nei pressi di Napoli e dell’Ilva di Taranto: due gravi «bacini di crisi» indicativi della mancanza di una politica industriale, segno che per un anno e mezzo il ministro dello Sviluppo economico, «in tutt’altre faccende affacendato», non solo non ha elaborato il barlume di una politica industriale, ma non si è neanche curato degli altri 150 «tavoli di crisi» al lavoro nel dicastero da lui, per così dire, guidato.
Non si fa riferimento al fatto che le autorità europee abbiano chiesto la restituzione di fondi per investimenti nel Mezzogiorno concessi da anni e mai spesi. Non si fa neanche riferimento al fatto che gli stanziamenti dello «sblocca cantieri» sono anche essi da anni «in competenza» e vengono a ogni esercizio finanziario ripresentati come simbolo di ciò che lo Stato centrale fa (o intende fare) per il Sud e per Isole.
La scarsa attenzione, ove non la vera e propria inazione, era comprensibile – quale che fossero i giudizi di valore – nei vent’anni circa in cui il ceto politico (ministri, parlamentari) era espressione del Nord e del Centro, ma sbalordisce quando il gruppo parlamentare di maggioranza relativa (nonostante le defezioni avutasi in questi venti mesi) è stato eletto nel Sud e delle Isole.
Naturalmente occorre ammettere che le responsabilità non sono solo o principalmente del Governo centrale. In un libro che pubblicai sulla disoccupazione giovanile nel Mezzogiorno nell’ormai lontano 1989 – ossia ben trent’anni fa – indicai come il fenomeno avesse origini connesse con atteggiamenti valoriali (quali «disoccupazione di attesa» nella speranza di ottenere «un posto pubblico» con relativa sicurezza e scarsità d’impegno). Nel 1998, alla vigilia della nascita dell’euro, in un saggio metodologico sul Mezzogiorno di fronte alla moneta unica pubblicato su La Rivista di Politica Economica, indicai come senza drastici cambiamenti di politiche il Sud e le Isole sarebbero stati travolti dall’unione monetaria. Il mio cognome dice chiaramente che le mie radici sono ad Acireale (provincia di Catania) e che, quindi, non posso essere accusato di anti-meridionalismo preconcetto.
Purtroppo, i cambiamenti non stati fatti e la situazione è peggiorata: la desertificazione industriale è peggiorata e a essa si è aggiunta la profonda crisi dei servizi (soprattutto commercio e banche-finanza). Ha avuto poca attenzione un eccellente lavoro pubblicato dall’Ufficio studi della Confcommercio a metà ottobre in cui si analizza la spesa pubblica locale. In estrema sintesi (lo studio presenta una vasta gamma di indicatori), preso per base (ossia zero) il livello di spesa in Lombardia, i servizi pubblici nel Sud e delle Isole richiedono tra il doppio e quasi il triplo di spesa. Secondo i calcoli nello studio, offrendo i servizi pubblici al costo e alla qualità della Lombardia si potrebbero risparmiare 66 miliardi di euro l’anno. Ciò indica che – come scrivevo nel 1998 – il nodo non sono i trasferimenti. Anzi misure come il reddito di cittadinanza rischiano di aggravare i problemi del Mezzogiorno.